29/12/12

☆¤*¤☆ auguri ☆¤*¤☆

Babbo e Mamma Natale mi hanno portato una chiavetta che mi permetterà di collegarmi in internet quando voglio e di scrivere più spesso ... questo sarà il mio impegno per il 2013!!! 

Nel frattempo questi sono gli auguri che faccio a chi pazientemente legge e segue e creativamente interagisce - molto più di ciò che faccio io ... per ora!!! 

“Una passeggiata nel frutteto ieri mi ha illuminata. È inverno e tutti gli alberi da frutto somigliano più a scope di saggina, col manico conficcato in terra, che non a ciò che i nostri occhi chiamano albero. Chi cedesse alla logica dei sensi, all'impulso di un robusto realismo, constaterebbe che la vita ha abbandonato questi alberi e darebbe l'ordine di abbatterli. Non imparerebbe mai che le leggi della natura hanno previsto qualcosa d'inverosimile, di irragionevole e d'insperato – conosciuto sotto il nome di «primavera» - e che questi alberi morti un giorno molto vicino si copriranno di germogli, di foglie e di fiori. Nessuno mi toglierà dalle mente che non sia così anche per le relazioni che ci uniscono e che tagliamo alla base perché le crediamo morte. Cinque giorni di pazienza, un mese – o vent'anni – e avremmo assistito a un prodigio: la legge rigorosa del «muori e rinasci».” 

[Christiane Singer, Elogio del matrimonio, del vincolo e altre follie]

 

15/10/12

Non sei democratica/democratico (ovvero il modo migliore per zittire chi protesta ... fino ad ora)

Sempre più spesso nei dibattiti in televisione, su facebook, nei convegni, quando qualcuna o qualcuno prendono la parola e accendono un contraddittorio si tende a usare l'espressione "non sei democratico" - "non sei democratica" cercando così di togliere alle persone la possibilità di aprire un dialogo che molto spesso è costruttivo e che permette alla platea - se c'è - di ascoltare diversi punti di vista. 

Le conseguenze di questa accusa sulla non democraticità polarizzano il dibattito: c'è chi rinfaccia la stessa non democraticità o chi si zittisce. In ogni caso si perde di vista il tema del dibattito che aveva sollevato l'intervento e chi ascolta perde l'ennesima possibilità di ragionare sull'argomento dovendo scegliere la parte da sostenere (o di giustificare la neutralità).

C'è però un aspetto su cui vorrei concentrarmi io e che molto spesso viene sottaciuto, dato per scontato, perché parrebbe che la democrazia sia la miglior modalità di governo nel nostro mondo moderno. Potete prendere questo ragionamento anche come un "omaggio" al premio Nobel per la PACE all'Unione Europea - che è addirittura peggio del premio dato qualche anno fa a Obama per ciò che potrà fare (e poi non ha fatto visto che l'imperialismo militare statunitense continua imperterrito e noi in Italia lo sappiamo bene con le basi Nato, tanto per fare un esempio).

Il concetto di democrazia nasce nell'antica Grecia. Democrazia intesa come sovranità popolare diretta: ogni cittadino aveva la possibilità di proporre e votare direttamente le leggi. Sembrerebbe un concetto di democrazia ancora più inclusivo di quello di cui disponiamo noi oggi, che ci basiamo sulla rappresentanza popolare. MA c'è un MA. Chi era considerato cittadino nell'antica Grecia? Esclusivamente chi era libero dal compito di soddisfare i bisogni umani (ciò che oggi chiamiamo "faccende domestiche"). Quindi l'esclusione dalla cittadinanza era per le donne, gli schiavi e le schiave. Gli uomini liberi fanno filosofia, teoria, politica, pensano e organizzano dalla loro alta posizione la convivenza umana. Nella Grecia classica c'è una bipartizione fondamentale dell'ordine simbolico sociale tra uomini e ambiti liberi e non liberi. Un ordine che ci accompagna ancora oggi e che deve essere decostruito per poter dare creare una società in cui ogni persona viva con agio.

Ecco perché se qualcuno o qualcuna dovesse accusarmi di non essere democratica me ne vanterei!!! 

04/10/12

Etnocentrismo o del razzismo politically correct


Facendo sempre riferimento alle discussioni del Feminist Blog Camp II di Livorno a un certo punto viene detto che “il razzismo non esiste più a differenza del maschilismo”. Per chi parlava – scusate la mancata citazione ma non mi ricordo molto bene – è molto difficile dirsi razzisti oggi perché attorno al razzismo è stato costruito un simbolico negativo e tutte le azioni perpetuate negli ultimi decenni per cambiare questo simbolico potrebbero essere adattate per superare il maschilismo e il patriarcato che ancora ci circonda.

Ma siamo veramente certe che il razzismo non esista più? Non sto parlando in assoluto, mi sto riferendo ai nostri comportamenti quotidiani. Possiamo definirci razzisti e razziste? Ne sappiamo portare il peso? O abbiamo trovato un termine, una modalità che ci metta al riparo dalle accuse di razzismo e in cui ci possiamo muovere agevolmente praticando atti quotidiani rimanendo impuniti e impunite?

Ieri mentre continuo la ricostruzione della biografia di una delle più importanti psicologhe italiane del 900 (Angiola Massucco Costa), mi sono imbattuta nelle sue ricerche sull'etnocentrismo (per dare qualche indicazione minima ci troviamo negli anni 50/60). Massucco Costa vede nell'etnocentrismo una variante moderna del razzismo. Se il razzismo si basa su differenze biologiche l'etnocentrismo fa leva sulle differenze culturali.

Grazie a questa prospettiva ci rendiamo conto di quanto siamo “razzisti” e “razziste” ogni volta che contrapponiamo partiti politici, ideologie, squadre di calcio, quartieri cittadini, gusti, usi e costumi...

Se analizziamo il linguaggio che usiamo per sostenere le nostre tesi o andare contro a quelle degli altri possiamo renderci conto di quanto la nostra supponenza nasconda un principio di razzismo che deve essere superato per vivere meglio e pensare ad un mondo in cui ogni persona trovi la propria dimensione liberandoci dall'oppressione del vincitore di turno.


03/10/12

educazione relazionale o "il piacere è mio e me lo voglio gestire io"


Lo scorso weekend sono stata a Livorno per la seconda edizione del feminist blog camp. Gli incontri dei tre giorni mi hanno aperto ancora di più gli occhi sulla potenzialità del web e dei blog, mi hanno fatto conoscere nuovi orizzonti (come l'antispecismo) e soprattutto incontrare alcuni uomini che lavorano su loro stessi e con altri (uomini e donne) per una società non sessista. Uomini che riconoscono come l'oppressione femminile sia da rimuovere per una società più libera e felice, dove tutti e tutte si possano esprime liberamente.

Per ora rimane un'intuizione da sviluppare, ma mi riprometto di lavorare sul piacere e sulle relazioni. Sempre più spesso ritorna l'idea di introdurre l'educazione sessuale nelle scuole. Ho tuttavia l'impressione che con educazione sessuale ci si fermi ai metodi contraccettivi, alle malattie sessualmente trasmissibili, forse a discorsi sull'interruzione volontaria di gravidanza. Che sono importanti, ma non inclusivi (soprattutto per il genere maschile).

Preferirei, quindi, parlare di educazione relazionale. Perché se è vero che fin dall'infanzia veniamo educati ed educate ai ruoli (vedi Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti) è altrettanto vero che un'educazione relazionale attenta al rispetto dei generi può essere di grande aiuto nel costruire relazioni soddisfacenti per entrambi.

A questo proposito voglio riportare alcune righe di un volantino che ho trovato a Livorno.

“Il responsabile della oppressione delle donne e delle violenze sessuali che subiscono non è l'esistenza della libido maschile ma proprio la legittimazione che dà la società alla sua espressione. Esiste l'approccio comune che il maschio possiede un desiderio innato troppo forte, simile alle altre esigenze corporee come mangiare e bere. Questo approccio vede il desiderio maschile come attivo. A differenza del desiderio femminile, che va percepito come debole e passivo. Secondo questo approccio, visto che gli uomini hanno un desiderio sessuale forte che “deve essere soddisfatto”, è solo naturale (e quindi anche legittimo) che lo esprimano e cerchino di sfogarsi, anche se questo significa fare del male alle donne – dopo tutto non si può fermare un bisogno del corpo. Da questo derivano fenomeni sociali come l'oggettificazione delle donne, molestie sessuali, la voglia di possedere molte donne, il consumo di sesso e/o pornografia, ecc...”

Non è molto più gratificante abbandonare l'opposizione tra desiderio attivo maschile e desiderio passivo femminile per dare vita a relazioni basate sul rispetto delle due persone come soggetti? Soggetti che hanno desideri differenti e che li giocano insieme attivamente nel loro rapporto?

15/09/12

RADICALITA'

Oggi ho letto una frase che mi è piaciuta molto e che ben riassume e sintetizza i miei pensieri nelle ultime settimane.

Desiderare il massimo, cominciare da qualcosa.

Troppo spesso ci si perde in discorsi sui massimi sistemi, troppo spesso si delega la propria soggettività e il proprio desiderio ad altri: famiglia, partner, amicizia, lavoro, istituzioni.

Esprimere la nostra soggettività significa anche fare, con ciò che abbiamo a disposizione. Il resto verrà. Il fare, il condividere questo fare, narrarlo ad altri e ad altre, ispirare. Ecco ciò che possiamo fare per per riprendere in mano la nostra vita.

25/07/12

Af-fidarsi


Una delle situazioni in cui mi ritrovo più spesso in questi giorni è il dover salvarmi dalla “polemica a tutti i costi”. Sembra che ci debba essere sempre una giustificazione per ciò che si dice, si fa, si prova. Come se avessimo l'onere della prova su di noi. Come se si dovesse continuare a dimostrare di essere nel giusto, di non aver fatto male a nessuno intorno a noi. Nel frattempo continuo a fare ricerca. In questo periodo mi sto occupando della ricostruzione biografica di una delle più importanti psicologhe italiane, Angiola Massucco Costa. Nella sua lunga vita, Angiola è stata consigliera comunale a Torino e deputata, eletta nelle liste del Partito Comunista. Leggo i verbali delle sedute del consiglio comunale alla ricerca dei suoi interventi ed è inevitabile raffrontarli con la situazione politica attuale: un po' perché ne siamo costantemente immersi, un po' perché la vivo su me stessa con la nomina in commissione pari opportunità.
E penso a cosa è cambiato. Si tratta solo di ideologie cadute e non sostituite con qualcosa di altrettanto forte o è come se si fosse rotto un patto tra chi viene eletta e chi si candida?

Tutto questo ragionare mi ha portato ad una parola, ad un'azione simbolica che dovrebbe essere la regola del genere umano e che invece viene meno: affidamento. Questo termine fonda anche la relazione tra donne, l'elaborazione politica del femminismo italiano. Il termine ricostruito nel simbolico positivo che possiede può aiutarci anche a migliorare i rapporti tra noi e a ridare un senso alla rappresentanza e all'azione politica.

Nell'introduzione al libro “Non credere di avere dei diritti”, le autrici appartenenti alla Libreria delle donne di Milano dichiarano che lo scopo del testo è “la necessità di dare senso, esaltare, rappresentare in parole e immagini il rapporto di una donna con una sua simile”.
Si tratta di un venire al mondo di donne legittimate dal riferimento alla loro origine femminile, nonostante il fatto che il rapporto tra donne non abbia una storia. A poche donne viene insegnata la necessità di curare specialmente i rapporti con altre donne e di considerarli una risorsa insostituibile di forza personale, di originalità mentale, di sicurezza sociale.

Nelle molte lingue di una cultura millenaria non c'erano nomi per significare una simile relazione sociale, come nessun'altra relazione fra donne per se stesse. Decidono quindi di chiamarlo “affidamento”.

“Il termine “affidamento” ha in sé la radice di parole come fede, fedeltà, fidarsi, confidare. Però può non piacere perché rimanda ad un rapporto sociale che il nostro diritto prevede fra adulto e bambino. Quel tirarsi indietro davanti a una parola in sé bella, solo per l'uso che altri ne fanno, viene visto come un sintomo di impotenza davanti al già pensato da altri, in questo caso il già pensato circa i rapporti tra bambini e adulti, e quello che sarebbe o non sarebbe conveniente all'età adulta di una donna”.

"Avere delle interlocutrici magistrali è più importante che avere dei diritti riconosciuti. Un'interlocutrice autorevole è necessaria se si vuole articolare la propria vita in un progetto di libertà e darsi così ragione del proprio essere donna. La mente femminile senza collocazione simbolica ha paura. Si trova esposta a fatti imprevedibili, tutto le capita dall'esterno nel corpo. Non sono le leggi e neanche i diritti che danno a una donna la sicurezza che le manca. L'inviolabilità una donna può acquistarla con un'esistenza progettata a partire da sé e garantita da una socialità femminile.”

A partire da queste frasi che sento forti dentro di me, che pratico ogni giorno e che mi hanno permesso di creare rapporti forti, di riuscire a confliggere senza avere paura di perdere il rispetto o l'amicizia delle persone con cui mi confronto, mi chiedo perché si continua a porre l'accento sulla lite tra donne? Dove è finito il sentimento della sorellanza? Siamo sorelle solo di donne con cui condividiamo un orientamento politico – o meglio partitico – in questa politica dei partiti che si sta mangiando tutto e soprattutto la nostra libertà di espressione? Quanto è forte oggi il bisogno di ogni donna di trovare fra sé e il mondo una mediazione fedele in un'altra simile? Quanto il guadagno di ogni diventa per se stessa, diventa guadagno per tutte invece di generare invidia?


21/07/12

il personale è politico (anche in amore)


Caro universo,
scusa il ritardo con cui ti scrivo, ma credo sia giunto il tempo in cui non posso più aspettare e questa lettera deve essere scritta e spedita. Mi hanno detto che tu realizzi tutti i sogni delle persone, ma che per farlo hai bisogno che le persone sappiano ciò che vogliono. La condizione che richiedi per esaudire i nostri desideri è un atto di coraggio: metterli per scritto, farli uscire da noi in modo che arrivino a te. Ecco il senso di questa mia lettera. Spero vorrai aiutarmi. Scegli tu tempi e modi io saprò riconoscerli. Queste sono le caratteristiche del mio uomo ideale – tanto per non perdere ulteriore tempo:

1.      coraggioso: che sappia esprimere i propri sentimenti, i propri desideri, che voglia trovare le condizioni per realizzarli aldilà di ciò che prescrive la società in cui abita
2.      allegro: che abbia un sorriso aperto, che non abbia paura a mostrarlo, che sia il benvenuto per ogni persona che incontra
3.      intelligente e acuto: che riesca a capire le situazioni che vive, che sappia trarne il meglio, che sappia andare oltre le provocazioni e le polemiche
4.      generoso: che sappia il valore della condivisione, che non abbia paura che gli vengano rubate idee, parole, che sia sicuro di ciò che ha perché è espressione della sua essenza
5.      che abbia cura del mondo: che riconosca il valore della bellezza, che sappia che chi ha pensato a questo meraviglioso mondo che ci circonda e gli renda grazie, che sappia che ogni gesto di cura salva il mondo
6.      alto: qui non c'è molto da dire, teniamo conto che io sono 1,75m e che ho anche delle simpatiche scarpe col tacco che ogni tanto mi piace indossare
7.      curioso: che abbia voglia di fare nuove esperienze, che sappia che la vita è cambiamento continuo
8.      ottimista: che sappia cogliere il meglio da tutto ciò che accade, che sappia riconoscere che tutto ciò che accade, accade per insegnarci qualcosa, che sappia affrontare il dolore e la sofferenza sapendo che c'è qualcosa oltre di importante e prezioso che lo aspetta
9.      pulito: che abbia cura del proprio corpo e dell'ambiente dove vive, che li celebri come estensione di sé che riconosca nella pulizia il principio della bellezza
10.  educato: che sappia utilizzare il sapore massimo di ogni parola, che abbia una proprietà di linguaggio adeguata ai discorsi che fa, che sappia trattare ogni persona che incontra con rispetto

confidando in te e nella tua immensa generosità, con tanto affetto

Aurora 

22/06/12

La vita, nonostante (il terremoto e Gramellini)

Questo post l'ho scritto una ventina di giorni fa, poi decido di tenerlo nel cassetto, lo perdo, lo riprendo, so che dovrei aggiornare il blog più spesso... ma insomma c'è "la vita (nonostante)".
Mi pare, tuttavia, che conservi un'essenza di adattabilità nelle tante situazioni che possiamo vivere, nelle disgrazie che ci propinano dai telegiornali, dalle frasi fatte che ci circondano.

Il post nasceva dalla frequenza con cui ho visto postare su facebook l'articolo di Gramellini "La vita, nonostante"

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1189&ID_sezione=56

Leggendolo mi sono chiesta: ma davvero ci si stupisce che la vita vada avanti anche dopo la peggiore tragedia? Davvero siamo diventati così arroganti e superbi da pensare che intorno a noi tutto si fermi? Davvero siamo così ciechi da non vedere che la natura ci impartisce ogni giorno, ogni momento una lezione di vita? Millenni che l'uomo (essere umano di genere maschile) si chiede filosofeggiando che cos'è la vita, che se lo chiede nella sua biblioteca, tra pagine di libri, con parole incomprensibili, concetti complicati e fuori la vita risponde. La vita è movimento, è procedere continuamente.

Un albero non fa domande sul terreno in cui sono immerse le proprie radici, sull'aria più o meno inquinata, sulle persone che lo toccano. Un albero è. Un fiore non si fa domande sulla grandezza dei propri petali, sul colore, sulla forma. Un fiore è.

Di conseguenza non riesco a capire quel nonostante. Non sarebbe più utile ragionare sul perché non vogliamo vivere quando tutto intorno a noi va bene? Non sarebbe più utile ragionare sui rifiuti che opponiamo continuamente alla vita, sul posticipare le nostre azioni, le nostre parole, sui pensieri che ci bloccano, sulle paure che agiscono in noi, sui freni che mettiamo ai nostri desideri?

Non esiste un concetto elaborato di vita, esiste la vita, e noi non possiamo fare altro che decidere come vivere!

27/05/12

Manifesto per la soppressione dei partiti politici - Simone Weil


Qualche settimana fa al Salone del Libro di Torino mi sono imbattuta nel catalogo di una casa editrice che preannunciava la ristampa del MANIFESTO PER LA SOPPRESSIONE DEI PARTITI POLITICI di Simone WEIL (testo pubblicato per la prima volta nel numero 26 della rivista francese “La Table Ronde” del 1950). È stata una folgorazione. Ho trovato quel breve testo in internet e ho pensato di metterne qualche assaggio perché può essere un'utile lente per leggere la nostra situazione attuale… e per capire come dagli anni Trenta del Novecento a oggi, il sistema dei partiti politici abbia invaso tutta la nostra società riducendo drasticamente la nostra capacità di pensiero e di conseguenza la nostra azione.

Voglio condividere con voi qualche passaggio di questo scritto per la sua allarmante attualità e per la grazia con cui Simone spiega l'effetto che i partiti politici hanno sulla nostra società e su di noi.

Secondo la Weil il totalitarismo è il peccato originale dei partiti. I partiti nel continente europeo sono nati come eredità del Terrore (il club dei giacobini francesi in precedenza era un luogo di libera discussione) e dall’influenza dell’esempio inglese (dove tuttavia è presente un elemento di gioco e di sport aristocratico che noi continentali non possediamo). 


Scrive Simone “Il fatto che i partiti oggi esistano non e’ in alcun modo un motivo per conservarli. soltanto il bene e’ un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. La questione da esaminare e’ se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul male e renda cosi’ la loro esistenza desiderabile.”

Per Simone i caratteri essenziali di un partito politico sono tre:
- è una macchina per fabbricare passione collettiva (quindi un impulso al crimine e alla menzogna - come diceva Rousseau)
- è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte
- il fine primo, e in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite

Per via di questa tripla caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno. Inoltre è vago rispetto alla sua dottrina poiché la dottrina non è una merce collettiva. Il partito si trova quindi, per effetto dell’assenza di pensiero, in un continuo stato d’impotenza, che attribuisce sempre all’insufficienza del potere di cui dispone. Se anche fosse padrone assoluto del paese, le necessità internazionali gli imporrebbero limiti troppo ristretti. Diventa inevitabile che il partito sia esso stesso stesso il proprio fine. E così la tendenza essenziale dei partiti è totalitaria, non solo relativamente a una nazione, ma relativamente al globo terrestre. Poiché la concezione del bene pubblico propria all’uno o l’altro partito è una finzione, una cosa vuota, irreale, che essa impone la ricerca della potenza totale. E' per questo che c'è affinità, alleanza, tra il totalitarismo e la menzogna. 

La crescita del partito diventa l'unico desiderio: se quest’anno ci sono tre membri in più dell’anno scorso, o se l’autofinanziamento ha permesso di raccogliere cento franchi in più, si è contenti. Mai si potrebbe concepire che il loro partito possa avere in alcun caso troppi membri, troppi elettori, troppo denaro. La crescita materiale del partito diviene l’unico criterio rispetto al quale si definiscono in ogni caso il bene e il male. Esattamente come se il partito fosse un animale all’ingrasso, e l’universo fosse stato creato per farlo ingrassare.

Nel momento in cui la crescita del partito costituisce un criterio del bene, ne consegue inevitabilmente una pressione collettiva del partito sui pensieri degli uomini. Questa pressione, in effetti, esiste. Viene mostrata pubblicamente. E' ammessa, proclamata. Questo fatto ci farebbe orrore se l’abitudine non ci avesse talmente induriti. I partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia. La pressione collettiva è esercitata attraverso la propaganda, la persuasione, non la comunicazione della luce. I partiti parlano, è vero, di educazione nei confronti di quelli che sono venuti a loro: simpatizzanti, giovani, nuovi aderenti. Questa parola è una menzogna. Si tratta di un addestramento che serve a preparare l’influenza ben più rigorosa esercitata dal partito sul pensiero dei suoi membri.

Se un uomo, membro di un partito, è risolutamente deciso ad essere fedele in ogni suo pensiero unicamente alla luce interiore e a null’altro, non può far conoscere questa risoluzione al suo partito. E' allora, di fronte a esso, in stato di menzogna. Questa situazione non può essere accettata che a causa della necessità, che obbliga a entrare in un partito per prendere parte efficacemente agli affari pubblici. Se mi appresto a dire, in nome del mio partito, cose che stimo contrarie alla verità e alla giustizia, lo indicherò con un avvertimento preliminare? Se non lo faccio, mento. Se l’appartenenza a un partito obbliga sempre, in ogni caso, alla menzogna, l’esistenza dei partiti è assolutamente, incondizionatamente, un male.

Ma allora questa necessità è un male, e bisogna mettervi fine sopprimendo i partiti.

E' impossibile esaminare i problemi spaventosamente complessi della vita pubblica prestando attenzione contemporaneamente da un lato a discernere la verità, la giustizia, il bene pubblico, dall’altro a conservare l’atteggiamento che si conviene a un certo membro di un raggruppamento. Nessuna sofferenza attende chi abbandona la giustizia e la verità, mentre il sistema dei partiti comporta le pene più severe per l’indocilità. Penalità che toccano quasi tutto: carriera, sentimenti, amicizie, reputazione, onore, talvolta addirittura la vita di famiglia.

Quando in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. In questo caso chi entra a far parte di un partito sarà preso da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico. I partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtù del quale, in tutta l’estensione di un paese, non uno spirito dedica un’attenzione allo sforzo di discernere negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la verità. Ne risulta che – eccezion fatta per un piccolo numero di coincidenze fortuite – vengono decise e intraprese soltanto misure contrarie al bene pubblico, alla giustizia e alla verità.

Come aderire ad affermazioni che non si conoscono? E' sufficiente sottomettersi incondizionatamente all’autorità che le ha emanate (e questo meccanismo è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l'eresia). Il movente del pensiero non è più il desiderio incondizionato, indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un insegnamento prestabilito.
La nostra democrazia fondata sul gioco dei partiti, ognuno dei quali è una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica. L’influenza dei partiti ha contaminato l’intera vita mentale della nostra epoca. E Simone scrive negli anni Trenta!!! Figuriamoci fosse viva oggi cosa direbbe... Chi che aderisce a un partito ha verosimilmente visto nell’azione e nella propaganda di quel partito cose che gli sono parse giuste e buone. Ma non ha mai studiato la posizione del partito relativamente a tutti i problemi della vita pubblica. Entrando a far parte del partito, accetta posizioni che ignora. Sottomette così il suo pensiero all’autorità del partito. Quando, poco a poco, conoscerà le posizioni che oggi ignora, le accetterà senza esaminarle.


Entrare in un partito significa adottarne docilmente la disposizione d'animo. E' una posizione così confortevole! Perché equivale a non pensare! 

La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. E' perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi.

Questa soppressione estenderebbe la propria virtù di risanamento ben al di là degli affari pubblici. Perché lo spirito di partito è arrivato a contaminare ogni cosa. In un paese le istituzioni che determinano lo svolgersi della vita pubblica influenzano sempre la totalità del pensiero, a causa del prestigio del potere. Siamo arrivati al punto da non pensare quasi più, in nessun ambito, se non prendendo posizione “pro” o “contro” un’opinione e cercando argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino. E' esattamente la trasposizione dell’adesione a un partito.

Come, nei partiti politici, esistono democratici che ammettono diversi partiti, allo stesso modo nell’ambito delle opinioni le persone di ampie vedute riconoscono un valore alle opinioni con le quali si dicono in disaccordo. Significa aver perso completamente il senso stesso del vero e del falso. Altri, una volta presa posizione per un’opinione, non accettano di esaminare nulla che le sia contrario. E' la trasposizione dello spirito totalitario. Quasi dappertutto l’operazione di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, si è sostituita all’operazione del pensiero. Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici e si è espansa, attraverso tutto il paese, alla quasi totalità del pensiero.

Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra che ci sta uccidendo, senza cominciare dalla soppressione dei partiti politici.



















20/05/12

La politica delle donne – Ada Natali e il dissenso dal Patto Atlantico

Da ieri è un rincorrersi di notizie sulla bomba di Brindisi. Anche se una persona non avesse la televisione in casa (aspettando gli “approfondimenti” dei vari talk show da domani all'infinito) facebook si è riempito all'istante di foto, parole, pensieri in ricordo di Melissa. Ma soprattutto si è riempito di parolacce, minacce, associazioni mentali su chi possa essere stato il colpevole. Serpeggia il bisogno – espresso o inespresso – di trovare il colpevole, il capro espiatorio che possa portare via tutte le colpe e nello stesso tempo renderci immuni dal fatto di essere noi colpevoli. Certo non è mia intenzione scrivere che siamo tutti e tutte potenzialmente assassini e assassine, ma quanto male facciamo a chi ci circonda e anche a chi vive più in là del nostro sguardo quando non privilegiamo la relazione? Quando ci muovono gli interessi – più o meno giustificati – come possiamo pensare di creare relazioni sane? Quando solleviamo polemiche – molto spesso inutili – come possiamo essere sicuri e sicure che l'energia prodotta non faccia male a qualcuno o a qualcuna?

Proprio per questo motivo, aldilà delle polemiche che leggo ovunque e che cresceranno in modo esponenziale – voglio dare il mio contributo con un pensiero tratto dal primo numero dei quaderni “Storia delle Marche in età contemporanea” dell'Associazione di Storia Contemporanea dell'Università di Macerata. Tra i vari saggi mi ha colpito quello di Eleonora Marsili dedicato alla prima sindaca italiana – ADA NATALI -.

Ada Natali fece parte anche della prima legislatura e nella sua attività politica pose il problema della tutela delle donne che diventavano madri. Ciò che mi interessa condividere ora è il discorso tenuto il 16 marzo 1949 quando Ada Natali espresse la propria volontà di votare contro il Patto Atlantico. Non credeva alle parole del Governo che presentava il Patto Atlantico con scopi pacifici: lo considerava invece un patto di guerra che avrebbe sancito l'effettiva liquidazione dell'ONU, unica organizzazione per la collaborazione internazionale e la realizzazione della pace nel mondo.

“Signori, in nome delle donne da me rappresentate, in nome di tutti i bambini, di tutti gli umili e i semplici, non solo delle Marche ma di tutta Italia, io vi invito a riflettere su quanto state per fare! Grande è la vostra responsabilità; ascoltate il monito che a voi sale e da questi banchi e da tutto il Paese! L'umanità è stanca di dolori e di odio; non imbrancatevi in guerre fratricide; fate sì che il popolo italiano tenda la sua mano ai popoli di tutto il mondo, e cooperate alla felicità degli umili, dando pane, pace e lavoro! Ove questo voi non facciate, noi ci opporremmo con tutte le nostre forze a che il nostro Paese e gli altri paesi, ove si lavoro e si soffre, non siano nuovamente devastati dalla vostra guerra inutile e criminale”.

Queste parole che oggi potremmo applicare facilmente all'Unione Europea e a tutti i patti economici dissodate dall'oscurità in cui stanno riposando possono costituire una genealogia femminile utile alle donne che decidono di entrare nelle istituzioni per cambiare questo modello di potere individualistico e non relazionale che ci vendono come l'unico possibile e praticabile.