04/10/12

Etnocentrismo o del razzismo politically correct


Facendo sempre riferimento alle discussioni del Feminist Blog Camp II di Livorno a un certo punto viene detto che “il razzismo non esiste più a differenza del maschilismo”. Per chi parlava – scusate la mancata citazione ma non mi ricordo molto bene – è molto difficile dirsi razzisti oggi perché attorno al razzismo è stato costruito un simbolico negativo e tutte le azioni perpetuate negli ultimi decenni per cambiare questo simbolico potrebbero essere adattate per superare il maschilismo e il patriarcato che ancora ci circonda.

Ma siamo veramente certe che il razzismo non esista più? Non sto parlando in assoluto, mi sto riferendo ai nostri comportamenti quotidiani. Possiamo definirci razzisti e razziste? Ne sappiamo portare il peso? O abbiamo trovato un termine, una modalità che ci metta al riparo dalle accuse di razzismo e in cui ci possiamo muovere agevolmente praticando atti quotidiani rimanendo impuniti e impunite?

Ieri mentre continuo la ricostruzione della biografia di una delle più importanti psicologhe italiane del 900 (Angiola Massucco Costa), mi sono imbattuta nelle sue ricerche sull'etnocentrismo (per dare qualche indicazione minima ci troviamo negli anni 50/60). Massucco Costa vede nell'etnocentrismo una variante moderna del razzismo. Se il razzismo si basa su differenze biologiche l'etnocentrismo fa leva sulle differenze culturali.

Grazie a questa prospettiva ci rendiamo conto di quanto siamo “razzisti” e “razziste” ogni volta che contrapponiamo partiti politici, ideologie, squadre di calcio, quartieri cittadini, gusti, usi e costumi...

Se analizziamo il linguaggio che usiamo per sostenere le nostre tesi o andare contro a quelle degli altri possiamo renderci conto di quanto la nostra supponenza nasconda un principio di razzismo che deve essere superato per vivere meglio e pensare ad un mondo in cui ogni persona trovi la propria dimensione liberandoci dall'oppressione del vincitore di turno.


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