29/12/12

☆¤*¤☆ auguri ☆¤*¤☆

Babbo e Mamma Natale mi hanno portato una chiavetta che mi permetterà di collegarmi in internet quando voglio e di scrivere più spesso ... questo sarà il mio impegno per il 2013!!! 

Nel frattempo questi sono gli auguri che faccio a chi pazientemente legge e segue e creativamente interagisce - molto più di ciò che faccio io ... per ora!!! 

“Una passeggiata nel frutteto ieri mi ha illuminata. È inverno e tutti gli alberi da frutto somigliano più a scope di saggina, col manico conficcato in terra, che non a ciò che i nostri occhi chiamano albero. Chi cedesse alla logica dei sensi, all'impulso di un robusto realismo, constaterebbe che la vita ha abbandonato questi alberi e darebbe l'ordine di abbatterli. Non imparerebbe mai che le leggi della natura hanno previsto qualcosa d'inverosimile, di irragionevole e d'insperato – conosciuto sotto il nome di «primavera» - e che questi alberi morti un giorno molto vicino si copriranno di germogli, di foglie e di fiori. Nessuno mi toglierà dalle mente che non sia così anche per le relazioni che ci uniscono e che tagliamo alla base perché le crediamo morte. Cinque giorni di pazienza, un mese – o vent'anni – e avremmo assistito a un prodigio: la legge rigorosa del «muori e rinasci».” 

[Christiane Singer, Elogio del matrimonio, del vincolo e altre follie]

 

15/10/12

Non sei democratica/democratico (ovvero il modo migliore per zittire chi protesta ... fino ad ora)

Sempre più spesso nei dibattiti in televisione, su facebook, nei convegni, quando qualcuna o qualcuno prendono la parola e accendono un contraddittorio si tende a usare l'espressione "non sei democratico" - "non sei democratica" cercando così di togliere alle persone la possibilità di aprire un dialogo che molto spesso è costruttivo e che permette alla platea - se c'è - di ascoltare diversi punti di vista. 

Le conseguenze di questa accusa sulla non democraticità polarizzano il dibattito: c'è chi rinfaccia la stessa non democraticità o chi si zittisce. In ogni caso si perde di vista il tema del dibattito che aveva sollevato l'intervento e chi ascolta perde l'ennesima possibilità di ragionare sull'argomento dovendo scegliere la parte da sostenere (o di giustificare la neutralità).

C'è però un aspetto su cui vorrei concentrarmi io e che molto spesso viene sottaciuto, dato per scontato, perché parrebbe che la democrazia sia la miglior modalità di governo nel nostro mondo moderno. Potete prendere questo ragionamento anche come un "omaggio" al premio Nobel per la PACE all'Unione Europea - che è addirittura peggio del premio dato qualche anno fa a Obama per ciò che potrà fare (e poi non ha fatto visto che l'imperialismo militare statunitense continua imperterrito e noi in Italia lo sappiamo bene con le basi Nato, tanto per fare un esempio).

Il concetto di democrazia nasce nell'antica Grecia. Democrazia intesa come sovranità popolare diretta: ogni cittadino aveva la possibilità di proporre e votare direttamente le leggi. Sembrerebbe un concetto di democrazia ancora più inclusivo di quello di cui disponiamo noi oggi, che ci basiamo sulla rappresentanza popolare. MA c'è un MA. Chi era considerato cittadino nell'antica Grecia? Esclusivamente chi era libero dal compito di soddisfare i bisogni umani (ciò che oggi chiamiamo "faccende domestiche"). Quindi l'esclusione dalla cittadinanza era per le donne, gli schiavi e le schiave. Gli uomini liberi fanno filosofia, teoria, politica, pensano e organizzano dalla loro alta posizione la convivenza umana. Nella Grecia classica c'è una bipartizione fondamentale dell'ordine simbolico sociale tra uomini e ambiti liberi e non liberi. Un ordine che ci accompagna ancora oggi e che deve essere decostruito per poter dare creare una società in cui ogni persona viva con agio.

Ecco perché se qualcuno o qualcuna dovesse accusarmi di non essere democratica me ne vanterei!!! 

04/10/12

Etnocentrismo o del razzismo politically correct


Facendo sempre riferimento alle discussioni del Feminist Blog Camp II di Livorno a un certo punto viene detto che “il razzismo non esiste più a differenza del maschilismo”. Per chi parlava – scusate la mancata citazione ma non mi ricordo molto bene – è molto difficile dirsi razzisti oggi perché attorno al razzismo è stato costruito un simbolico negativo e tutte le azioni perpetuate negli ultimi decenni per cambiare questo simbolico potrebbero essere adattate per superare il maschilismo e il patriarcato che ancora ci circonda.

Ma siamo veramente certe che il razzismo non esista più? Non sto parlando in assoluto, mi sto riferendo ai nostri comportamenti quotidiani. Possiamo definirci razzisti e razziste? Ne sappiamo portare il peso? O abbiamo trovato un termine, una modalità che ci metta al riparo dalle accuse di razzismo e in cui ci possiamo muovere agevolmente praticando atti quotidiani rimanendo impuniti e impunite?

Ieri mentre continuo la ricostruzione della biografia di una delle più importanti psicologhe italiane del 900 (Angiola Massucco Costa), mi sono imbattuta nelle sue ricerche sull'etnocentrismo (per dare qualche indicazione minima ci troviamo negli anni 50/60). Massucco Costa vede nell'etnocentrismo una variante moderna del razzismo. Se il razzismo si basa su differenze biologiche l'etnocentrismo fa leva sulle differenze culturali.

Grazie a questa prospettiva ci rendiamo conto di quanto siamo “razzisti” e “razziste” ogni volta che contrapponiamo partiti politici, ideologie, squadre di calcio, quartieri cittadini, gusti, usi e costumi...

Se analizziamo il linguaggio che usiamo per sostenere le nostre tesi o andare contro a quelle degli altri possiamo renderci conto di quanto la nostra supponenza nasconda un principio di razzismo che deve essere superato per vivere meglio e pensare ad un mondo in cui ogni persona trovi la propria dimensione liberandoci dall'oppressione del vincitore di turno.


03/10/12

educazione relazionale o "il piacere è mio e me lo voglio gestire io"


Lo scorso weekend sono stata a Livorno per la seconda edizione del feminist blog camp. Gli incontri dei tre giorni mi hanno aperto ancora di più gli occhi sulla potenzialità del web e dei blog, mi hanno fatto conoscere nuovi orizzonti (come l'antispecismo) e soprattutto incontrare alcuni uomini che lavorano su loro stessi e con altri (uomini e donne) per una società non sessista. Uomini che riconoscono come l'oppressione femminile sia da rimuovere per una società più libera e felice, dove tutti e tutte si possano esprime liberamente.

Per ora rimane un'intuizione da sviluppare, ma mi riprometto di lavorare sul piacere e sulle relazioni. Sempre più spesso ritorna l'idea di introdurre l'educazione sessuale nelle scuole. Ho tuttavia l'impressione che con educazione sessuale ci si fermi ai metodi contraccettivi, alle malattie sessualmente trasmissibili, forse a discorsi sull'interruzione volontaria di gravidanza. Che sono importanti, ma non inclusivi (soprattutto per il genere maschile).

Preferirei, quindi, parlare di educazione relazionale. Perché se è vero che fin dall'infanzia veniamo educati ed educate ai ruoli (vedi Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti) è altrettanto vero che un'educazione relazionale attenta al rispetto dei generi può essere di grande aiuto nel costruire relazioni soddisfacenti per entrambi.

A questo proposito voglio riportare alcune righe di un volantino che ho trovato a Livorno.

“Il responsabile della oppressione delle donne e delle violenze sessuali che subiscono non è l'esistenza della libido maschile ma proprio la legittimazione che dà la società alla sua espressione. Esiste l'approccio comune che il maschio possiede un desiderio innato troppo forte, simile alle altre esigenze corporee come mangiare e bere. Questo approccio vede il desiderio maschile come attivo. A differenza del desiderio femminile, che va percepito come debole e passivo. Secondo questo approccio, visto che gli uomini hanno un desiderio sessuale forte che “deve essere soddisfatto”, è solo naturale (e quindi anche legittimo) che lo esprimano e cerchino di sfogarsi, anche se questo significa fare del male alle donne – dopo tutto non si può fermare un bisogno del corpo. Da questo derivano fenomeni sociali come l'oggettificazione delle donne, molestie sessuali, la voglia di possedere molte donne, il consumo di sesso e/o pornografia, ecc...”

Non è molto più gratificante abbandonare l'opposizione tra desiderio attivo maschile e desiderio passivo femminile per dare vita a relazioni basate sul rispetto delle due persone come soggetti? Soggetti che hanno desideri differenti e che li giocano insieme attivamente nel loro rapporto?

15/09/12

RADICALITA'

Oggi ho letto una frase che mi è piaciuta molto e che ben riassume e sintetizza i miei pensieri nelle ultime settimane.

Desiderare il massimo, cominciare da qualcosa.

Troppo spesso ci si perde in discorsi sui massimi sistemi, troppo spesso si delega la propria soggettività e il proprio desiderio ad altri: famiglia, partner, amicizia, lavoro, istituzioni.

Esprimere la nostra soggettività significa anche fare, con ciò che abbiamo a disposizione. Il resto verrà. Il fare, il condividere questo fare, narrarlo ad altri e ad altre, ispirare. Ecco ciò che possiamo fare per per riprendere in mano la nostra vita.

25/07/12

Af-fidarsi


Una delle situazioni in cui mi ritrovo più spesso in questi giorni è il dover salvarmi dalla “polemica a tutti i costi”. Sembra che ci debba essere sempre una giustificazione per ciò che si dice, si fa, si prova. Come se avessimo l'onere della prova su di noi. Come se si dovesse continuare a dimostrare di essere nel giusto, di non aver fatto male a nessuno intorno a noi. Nel frattempo continuo a fare ricerca. In questo periodo mi sto occupando della ricostruzione biografica di una delle più importanti psicologhe italiane, Angiola Massucco Costa. Nella sua lunga vita, Angiola è stata consigliera comunale a Torino e deputata, eletta nelle liste del Partito Comunista. Leggo i verbali delle sedute del consiglio comunale alla ricerca dei suoi interventi ed è inevitabile raffrontarli con la situazione politica attuale: un po' perché ne siamo costantemente immersi, un po' perché la vivo su me stessa con la nomina in commissione pari opportunità.
E penso a cosa è cambiato. Si tratta solo di ideologie cadute e non sostituite con qualcosa di altrettanto forte o è come se si fosse rotto un patto tra chi viene eletta e chi si candida?

Tutto questo ragionare mi ha portato ad una parola, ad un'azione simbolica che dovrebbe essere la regola del genere umano e che invece viene meno: affidamento. Questo termine fonda anche la relazione tra donne, l'elaborazione politica del femminismo italiano. Il termine ricostruito nel simbolico positivo che possiede può aiutarci anche a migliorare i rapporti tra noi e a ridare un senso alla rappresentanza e all'azione politica.

Nell'introduzione al libro “Non credere di avere dei diritti”, le autrici appartenenti alla Libreria delle donne di Milano dichiarano che lo scopo del testo è “la necessità di dare senso, esaltare, rappresentare in parole e immagini il rapporto di una donna con una sua simile”.
Si tratta di un venire al mondo di donne legittimate dal riferimento alla loro origine femminile, nonostante il fatto che il rapporto tra donne non abbia una storia. A poche donne viene insegnata la necessità di curare specialmente i rapporti con altre donne e di considerarli una risorsa insostituibile di forza personale, di originalità mentale, di sicurezza sociale.

Nelle molte lingue di una cultura millenaria non c'erano nomi per significare una simile relazione sociale, come nessun'altra relazione fra donne per se stesse. Decidono quindi di chiamarlo “affidamento”.

“Il termine “affidamento” ha in sé la radice di parole come fede, fedeltà, fidarsi, confidare. Però può non piacere perché rimanda ad un rapporto sociale che il nostro diritto prevede fra adulto e bambino. Quel tirarsi indietro davanti a una parola in sé bella, solo per l'uso che altri ne fanno, viene visto come un sintomo di impotenza davanti al già pensato da altri, in questo caso il già pensato circa i rapporti tra bambini e adulti, e quello che sarebbe o non sarebbe conveniente all'età adulta di una donna”.

"Avere delle interlocutrici magistrali è più importante che avere dei diritti riconosciuti. Un'interlocutrice autorevole è necessaria se si vuole articolare la propria vita in un progetto di libertà e darsi così ragione del proprio essere donna. La mente femminile senza collocazione simbolica ha paura. Si trova esposta a fatti imprevedibili, tutto le capita dall'esterno nel corpo. Non sono le leggi e neanche i diritti che danno a una donna la sicurezza che le manca. L'inviolabilità una donna può acquistarla con un'esistenza progettata a partire da sé e garantita da una socialità femminile.”

A partire da queste frasi che sento forti dentro di me, che pratico ogni giorno e che mi hanno permesso di creare rapporti forti, di riuscire a confliggere senza avere paura di perdere il rispetto o l'amicizia delle persone con cui mi confronto, mi chiedo perché si continua a porre l'accento sulla lite tra donne? Dove è finito il sentimento della sorellanza? Siamo sorelle solo di donne con cui condividiamo un orientamento politico – o meglio partitico – in questa politica dei partiti che si sta mangiando tutto e soprattutto la nostra libertà di espressione? Quanto è forte oggi il bisogno di ogni donna di trovare fra sé e il mondo una mediazione fedele in un'altra simile? Quanto il guadagno di ogni diventa per se stessa, diventa guadagno per tutte invece di generare invidia?


21/07/12

il personale è politico (anche in amore)


Caro universo,
scusa il ritardo con cui ti scrivo, ma credo sia giunto il tempo in cui non posso più aspettare e questa lettera deve essere scritta e spedita. Mi hanno detto che tu realizzi tutti i sogni delle persone, ma che per farlo hai bisogno che le persone sappiano ciò che vogliono. La condizione che richiedi per esaudire i nostri desideri è un atto di coraggio: metterli per scritto, farli uscire da noi in modo che arrivino a te. Ecco il senso di questa mia lettera. Spero vorrai aiutarmi. Scegli tu tempi e modi io saprò riconoscerli. Queste sono le caratteristiche del mio uomo ideale – tanto per non perdere ulteriore tempo:

1.      coraggioso: che sappia esprimere i propri sentimenti, i propri desideri, che voglia trovare le condizioni per realizzarli aldilà di ciò che prescrive la società in cui abita
2.      allegro: che abbia un sorriso aperto, che non abbia paura a mostrarlo, che sia il benvenuto per ogni persona che incontra
3.      intelligente e acuto: che riesca a capire le situazioni che vive, che sappia trarne il meglio, che sappia andare oltre le provocazioni e le polemiche
4.      generoso: che sappia il valore della condivisione, che non abbia paura che gli vengano rubate idee, parole, che sia sicuro di ciò che ha perché è espressione della sua essenza
5.      che abbia cura del mondo: che riconosca il valore della bellezza, che sappia che chi ha pensato a questo meraviglioso mondo che ci circonda e gli renda grazie, che sappia che ogni gesto di cura salva il mondo
6.      alto: qui non c'è molto da dire, teniamo conto che io sono 1,75m e che ho anche delle simpatiche scarpe col tacco che ogni tanto mi piace indossare
7.      curioso: che abbia voglia di fare nuove esperienze, che sappia che la vita è cambiamento continuo
8.      ottimista: che sappia cogliere il meglio da tutto ciò che accade, che sappia riconoscere che tutto ciò che accade, accade per insegnarci qualcosa, che sappia affrontare il dolore e la sofferenza sapendo che c'è qualcosa oltre di importante e prezioso che lo aspetta
9.      pulito: che abbia cura del proprio corpo e dell'ambiente dove vive, che li celebri come estensione di sé che riconosca nella pulizia il principio della bellezza
10.  educato: che sappia utilizzare il sapore massimo di ogni parola, che abbia una proprietà di linguaggio adeguata ai discorsi che fa, che sappia trattare ogni persona che incontra con rispetto

confidando in te e nella tua immensa generosità, con tanto affetto

Aurora 

22/06/12

La vita, nonostante (il terremoto e Gramellini)

Questo post l'ho scritto una ventina di giorni fa, poi decido di tenerlo nel cassetto, lo perdo, lo riprendo, so che dovrei aggiornare il blog più spesso... ma insomma c'è "la vita (nonostante)".
Mi pare, tuttavia, che conservi un'essenza di adattabilità nelle tante situazioni che possiamo vivere, nelle disgrazie che ci propinano dai telegiornali, dalle frasi fatte che ci circondano.

Il post nasceva dalla frequenza con cui ho visto postare su facebook l'articolo di Gramellini "La vita, nonostante"

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=1189&ID_sezione=56

Leggendolo mi sono chiesta: ma davvero ci si stupisce che la vita vada avanti anche dopo la peggiore tragedia? Davvero siamo diventati così arroganti e superbi da pensare che intorno a noi tutto si fermi? Davvero siamo così ciechi da non vedere che la natura ci impartisce ogni giorno, ogni momento una lezione di vita? Millenni che l'uomo (essere umano di genere maschile) si chiede filosofeggiando che cos'è la vita, che se lo chiede nella sua biblioteca, tra pagine di libri, con parole incomprensibili, concetti complicati e fuori la vita risponde. La vita è movimento, è procedere continuamente.

Un albero non fa domande sul terreno in cui sono immerse le proprie radici, sull'aria più o meno inquinata, sulle persone che lo toccano. Un albero è. Un fiore non si fa domande sulla grandezza dei propri petali, sul colore, sulla forma. Un fiore è.

Di conseguenza non riesco a capire quel nonostante. Non sarebbe più utile ragionare sul perché non vogliamo vivere quando tutto intorno a noi va bene? Non sarebbe più utile ragionare sui rifiuti che opponiamo continuamente alla vita, sul posticipare le nostre azioni, le nostre parole, sui pensieri che ci bloccano, sulle paure che agiscono in noi, sui freni che mettiamo ai nostri desideri?

Non esiste un concetto elaborato di vita, esiste la vita, e noi non possiamo fare altro che decidere come vivere!

27/05/12

Manifesto per la soppressione dei partiti politici - Simone Weil


Qualche settimana fa al Salone del Libro di Torino mi sono imbattuta nel catalogo di una casa editrice che preannunciava la ristampa del MANIFESTO PER LA SOPPRESSIONE DEI PARTITI POLITICI di Simone WEIL (testo pubblicato per la prima volta nel numero 26 della rivista francese “La Table Ronde” del 1950). È stata una folgorazione. Ho trovato quel breve testo in internet e ho pensato di metterne qualche assaggio perché può essere un'utile lente per leggere la nostra situazione attuale… e per capire come dagli anni Trenta del Novecento a oggi, il sistema dei partiti politici abbia invaso tutta la nostra società riducendo drasticamente la nostra capacità di pensiero e di conseguenza la nostra azione.

Voglio condividere con voi qualche passaggio di questo scritto per la sua allarmante attualità e per la grazia con cui Simone spiega l'effetto che i partiti politici hanno sulla nostra società e su di noi.

Secondo la Weil il totalitarismo è il peccato originale dei partiti. I partiti nel continente europeo sono nati come eredità del Terrore (il club dei giacobini francesi in precedenza era un luogo di libera discussione) e dall’influenza dell’esempio inglese (dove tuttavia è presente un elemento di gioco e di sport aristocratico che noi continentali non possediamo). 


Scrive Simone “Il fatto che i partiti oggi esistano non e’ in alcun modo un motivo per conservarli. soltanto il bene e’ un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. La questione da esaminare e’ se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul male e renda cosi’ la loro esistenza desiderabile.”

Per Simone i caratteri essenziali di un partito politico sono tre:
- è una macchina per fabbricare passione collettiva (quindi un impulso al crimine e alla menzogna - come diceva Rousseau)
- è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte
- il fine primo, e in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite

Per via di questa tripla caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno. Inoltre è vago rispetto alla sua dottrina poiché la dottrina non è una merce collettiva. Il partito si trova quindi, per effetto dell’assenza di pensiero, in un continuo stato d’impotenza, che attribuisce sempre all’insufficienza del potere di cui dispone. Se anche fosse padrone assoluto del paese, le necessità internazionali gli imporrebbero limiti troppo ristretti. Diventa inevitabile che il partito sia esso stesso stesso il proprio fine. E così la tendenza essenziale dei partiti è totalitaria, non solo relativamente a una nazione, ma relativamente al globo terrestre. Poiché la concezione del bene pubblico propria all’uno o l’altro partito è una finzione, una cosa vuota, irreale, che essa impone la ricerca della potenza totale. E' per questo che c'è affinità, alleanza, tra il totalitarismo e la menzogna. 

La crescita del partito diventa l'unico desiderio: se quest’anno ci sono tre membri in più dell’anno scorso, o se l’autofinanziamento ha permesso di raccogliere cento franchi in più, si è contenti. Mai si potrebbe concepire che il loro partito possa avere in alcun caso troppi membri, troppi elettori, troppo denaro. La crescita materiale del partito diviene l’unico criterio rispetto al quale si definiscono in ogni caso il bene e il male. Esattamente come se il partito fosse un animale all’ingrasso, e l’universo fosse stato creato per farlo ingrassare.

Nel momento in cui la crescita del partito costituisce un criterio del bene, ne consegue inevitabilmente una pressione collettiva del partito sui pensieri degli uomini. Questa pressione, in effetti, esiste. Viene mostrata pubblicamente. E' ammessa, proclamata. Questo fatto ci farebbe orrore se l’abitudine non ci avesse talmente induriti. I partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia. La pressione collettiva è esercitata attraverso la propaganda, la persuasione, non la comunicazione della luce. I partiti parlano, è vero, di educazione nei confronti di quelli che sono venuti a loro: simpatizzanti, giovani, nuovi aderenti. Questa parola è una menzogna. Si tratta di un addestramento che serve a preparare l’influenza ben più rigorosa esercitata dal partito sul pensiero dei suoi membri.

Se un uomo, membro di un partito, è risolutamente deciso ad essere fedele in ogni suo pensiero unicamente alla luce interiore e a null’altro, non può far conoscere questa risoluzione al suo partito. E' allora, di fronte a esso, in stato di menzogna. Questa situazione non può essere accettata che a causa della necessità, che obbliga a entrare in un partito per prendere parte efficacemente agli affari pubblici. Se mi appresto a dire, in nome del mio partito, cose che stimo contrarie alla verità e alla giustizia, lo indicherò con un avvertimento preliminare? Se non lo faccio, mento. Se l’appartenenza a un partito obbliga sempre, in ogni caso, alla menzogna, l’esistenza dei partiti è assolutamente, incondizionatamente, un male.

Ma allora questa necessità è un male, e bisogna mettervi fine sopprimendo i partiti.

E' impossibile esaminare i problemi spaventosamente complessi della vita pubblica prestando attenzione contemporaneamente da un lato a discernere la verità, la giustizia, il bene pubblico, dall’altro a conservare l’atteggiamento che si conviene a un certo membro di un raggruppamento. Nessuna sofferenza attende chi abbandona la giustizia e la verità, mentre il sistema dei partiti comporta le pene più severe per l’indocilità. Penalità che toccano quasi tutto: carriera, sentimenti, amicizie, reputazione, onore, talvolta addirittura la vita di famiglia.

Quando in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. In questo caso chi entra a far parte di un partito sarà preso da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico. I partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtù del quale, in tutta l’estensione di un paese, non uno spirito dedica un’attenzione allo sforzo di discernere negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la verità. Ne risulta che – eccezion fatta per un piccolo numero di coincidenze fortuite – vengono decise e intraprese soltanto misure contrarie al bene pubblico, alla giustizia e alla verità.

Come aderire ad affermazioni che non si conoscono? E' sufficiente sottomettersi incondizionatamente all’autorità che le ha emanate (e questo meccanismo è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l'eresia). Il movente del pensiero non è più il desiderio incondizionato, indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un insegnamento prestabilito.
La nostra democrazia fondata sul gioco dei partiti, ognuno dei quali è una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica. L’influenza dei partiti ha contaminato l’intera vita mentale della nostra epoca. E Simone scrive negli anni Trenta!!! Figuriamoci fosse viva oggi cosa direbbe... Chi che aderisce a un partito ha verosimilmente visto nell’azione e nella propaganda di quel partito cose che gli sono parse giuste e buone. Ma non ha mai studiato la posizione del partito relativamente a tutti i problemi della vita pubblica. Entrando a far parte del partito, accetta posizioni che ignora. Sottomette così il suo pensiero all’autorità del partito. Quando, poco a poco, conoscerà le posizioni che oggi ignora, le accetterà senza esaminarle.


Entrare in un partito significa adottarne docilmente la disposizione d'animo. E' una posizione così confortevole! Perché equivale a non pensare! 

La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. E' perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi.

Questa soppressione estenderebbe la propria virtù di risanamento ben al di là degli affari pubblici. Perché lo spirito di partito è arrivato a contaminare ogni cosa. In un paese le istituzioni che determinano lo svolgersi della vita pubblica influenzano sempre la totalità del pensiero, a causa del prestigio del potere. Siamo arrivati al punto da non pensare quasi più, in nessun ambito, se non prendendo posizione “pro” o “contro” un’opinione e cercando argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino. E' esattamente la trasposizione dell’adesione a un partito.

Come, nei partiti politici, esistono democratici che ammettono diversi partiti, allo stesso modo nell’ambito delle opinioni le persone di ampie vedute riconoscono un valore alle opinioni con le quali si dicono in disaccordo. Significa aver perso completamente il senso stesso del vero e del falso. Altri, una volta presa posizione per un’opinione, non accettano di esaminare nulla che le sia contrario. E' la trasposizione dello spirito totalitario. Quasi dappertutto l’operazione di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, si è sostituita all’operazione del pensiero. Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici e si è espansa, attraverso tutto il paese, alla quasi totalità del pensiero.

Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra che ci sta uccidendo, senza cominciare dalla soppressione dei partiti politici.



















20/05/12

La politica delle donne – Ada Natali e il dissenso dal Patto Atlantico

Da ieri è un rincorrersi di notizie sulla bomba di Brindisi. Anche se una persona non avesse la televisione in casa (aspettando gli “approfondimenti” dei vari talk show da domani all'infinito) facebook si è riempito all'istante di foto, parole, pensieri in ricordo di Melissa. Ma soprattutto si è riempito di parolacce, minacce, associazioni mentali su chi possa essere stato il colpevole. Serpeggia il bisogno – espresso o inespresso – di trovare il colpevole, il capro espiatorio che possa portare via tutte le colpe e nello stesso tempo renderci immuni dal fatto di essere noi colpevoli. Certo non è mia intenzione scrivere che siamo tutti e tutte potenzialmente assassini e assassine, ma quanto male facciamo a chi ci circonda e anche a chi vive più in là del nostro sguardo quando non privilegiamo la relazione? Quando ci muovono gli interessi – più o meno giustificati – come possiamo pensare di creare relazioni sane? Quando solleviamo polemiche – molto spesso inutili – come possiamo essere sicuri e sicure che l'energia prodotta non faccia male a qualcuno o a qualcuna?

Proprio per questo motivo, aldilà delle polemiche che leggo ovunque e che cresceranno in modo esponenziale – voglio dare il mio contributo con un pensiero tratto dal primo numero dei quaderni “Storia delle Marche in età contemporanea” dell'Associazione di Storia Contemporanea dell'Università di Macerata. Tra i vari saggi mi ha colpito quello di Eleonora Marsili dedicato alla prima sindaca italiana – ADA NATALI -.

Ada Natali fece parte anche della prima legislatura e nella sua attività politica pose il problema della tutela delle donne che diventavano madri. Ciò che mi interessa condividere ora è il discorso tenuto il 16 marzo 1949 quando Ada Natali espresse la propria volontà di votare contro il Patto Atlantico. Non credeva alle parole del Governo che presentava il Patto Atlantico con scopi pacifici: lo considerava invece un patto di guerra che avrebbe sancito l'effettiva liquidazione dell'ONU, unica organizzazione per la collaborazione internazionale e la realizzazione della pace nel mondo.

“Signori, in nome delle donne da me rappresentate, in nome di tutti i bambini, di tutti gli umili e i semplici, non solo delle Marche ma di tutta Italia, io vi invito a riflettere su quanto state per fare! Grande è la vostra responsabilità; ascoltate il monito che a voi sale e da questi banchi e da tutto il Paese! L'umanità è stanca di dolori e di odio; non imbrancatevi in guerre fratricide; fate sì che il popolo italiano tenda la sua mano ai popoli di tutto il mondo, e cooperate alla felicità degli umili, dando pane, pace e lavoro! Ove questo voi non facciate, noi ci opporremmo con tutte le nostre forze a che il nostro Paese e gli altri paesi, ove si lavoro e si soffre, non siano nuovamente devastati dalla vostra guerra inutile e criminale”.

Queste parole che oggi potremmo applicare facilmente all'Unione Europea e a tutti i patti economici dissodate dall'oscurità in cui stanno riposando possono costituire una genealogia femminile utile alle donne che decidono di entrare nelle istituzioni per cambiare questo modello di potere individualistico e non relazionale che ci vendono come l'unico possibile e praticabile.

01/05/12

R(E)sistenza

A volte alcuni post richiedono esigono da noi di essere scritti... questo è un post dedicato a tutte le donne che hanno partecipato alla Resistenza e che ancora oggi riescono a darci lezioni di umiltà e di dignità con semplici parole e gesti.

Sabato mattina ho partecipato ad un incontro organizzato per celebrare le donne del Partigianato piemontese. L'intenzione delle organizzatrici era tracciare una sorta di genealogia femminile con alcune esponenti di un partito politico e con le giovani attiviste. Velocemente ricordo che il ruolo delle donne nella Resistenza per molti decenni è rimasto misconosciuto, dimenticato, confinato in pochi nomi di donne famose perché hanno intrapreso carriere politiche o sono diventate personagge di primo piano.

Di solito quando partecipo ad un convegno mi piace prendere appunti e mescolare ciò che dicono le persone che parlano alle mie impressioni. Guardare il pubblico. Segnare alcuni momenti. Vicino a me siede una donna molto anziana, avrà tra gli ottanta e i novant'anni e a un certo punto mi dice "Brava, vedo che prende appunti". La terza persona è un segno di rispetto che mi fa ricordare un'altra donna fantastica che ho avuto la fortuna di conoscere qualche anno fa. Si chiama(va) Suso Cecchi d'Amico e per presentarmi a suo figlio una volta ha detto: "Ecco una mia amica". La terza persona è rispetto. Rispetto ancora più profondo quando è utilizzata da una persona più anziana nei confronti di una più giovane.

Solo durante il momento dedicato alla premiazione scopro che la persona seduta accanto a me si chiama Cecilia Genisio ed è una Partigiana. Finito il convegno, durante il quale mi sono molto emozionata, sentendo i racconti di queste donne, mi rivolgo a Cecilia scusandomi se oggi l'Italia è ridotta in questo stato, se i valori che hanno indirizzato le sue azioni sono stati calpestati in questo modo. Lei invece con uno splendido sorriso mi dice "Facciamo una foto. Voglio portarla nei miei ricordi personali". Sono rimasta sbigottita perché quelle al massimo dovevano essere mie parole, non sue. Che senso ha per una donna che ha avuto una vita come la sua dirmi quella frase?

Quando ha ritirato l'attestato la giornalista che moderava l'incontro le ha chiesto di aggiungere qualche ricordo a quel momento. Lei, che è di Cuorgnè, racconta che il suo è stato l'unico paese piemontese ad arrendersi senza che ci fosse spargimento di sangue e che lei è stata contenta di aver partecipato alla resa, riuscendo a risparmiare delle vite umane.

In questi giorni ho ripensato molto a questo incontro. Al significato che voglio dare alle parole di Cecilia. Mi piace pensare alle sue parole come a un invito a dimostrare il suo stesso coraggio nelle mie scelte personali e nel mio modo di stare al mondo. Vivere richiede coraggio e senso di responsabilità. Molto spesso può essere difficile, ci sono momenti bui. La relazione con gli altri e con le altre, il riconoscimento, la genealogia, ci possono aiutare. Condivido questo mio momento con voi affinché un po' del coraggio di Cecilia e delle sue compagne vi raggiunga.

28/04/12

Utopia & Realismo

Ieri sera ho visto un servizio sui Rai5 che mi ha colpito molto e di cui vorrei parlare perché in questi giorni sto pensando molto ai piccoli gesti che rendono il mondo un posto speciale. Ciò di cui vi parlerò è un grande progetto, un'idea immensa e rivoluzionaria che però non trova spazio in un nostro telegiornale o nelle trasmissioni di approfondimento giornalistico. Dopo tre settimane in giro per il Sudamerica mi sono accorta di quanto siamo stritolati e stritolate (le donne sempre un po' di più) dal gossip o da chi utilizza la nostra rabbia, frustrazione, depressione per la propria carriera o i propri interessi.

Quest'uomo si chiama Gordon Sato ed è un biologo americano - ma di evidenti origini giapponesi - che sta portando avanti da tutta la vita un progetto che si chiama Manzanar. http://themanzanarproject.com/index.html
Il progetto è così utopico e nello stesso tempo molto pratico: da trent'anni Gordon pianta mangrovie in Eritrea. E questo dovrebbe farci interessare in prima persona in quanto l'Eritrea fu una colonia italiana per molti anni e come spesso accade una rielaborazione storica non avviene. L'Eritrea oggi è anche uno dei paesi più poveri della Terra a causa del clima desertico che rende quasi impossibile praticare un'agricoltura di sussistenza.

Ecco che quindi il progetto di Gordon Sato acquista quindi un valore aggiunto e che meriterebbe, già solo per il suo coraggio, visibilità. Dal 1987 a oggi sono state piantate circa 800.000 mangrovie. La presenza delle mangrovie ha permesso la prolificazione di molti pesci rendendo così praticabile la pesca. E il pesce è un alimento importante per la dieta umana. Non solo, le mangrovie diventano anche possibile cibo per le pecore e le capre creando così un'agricoltura di sussistenza.



Il progetto Manzanar ha ricevuto alcuni riconoscimenti a livello internazionale che fanno ben sperare per il proseguimento del progetto e per la possibilità che venga replicato in altre parti del mondo. Attualmente sono partite sperimentazioni in Mauritania e si pensa di poter piantare Mangrovie in buona parte del deserto del Sahara in modo da combattere anche il riscaldamento globale.

Ma c'è qualcosa di più, che merita attenzione in questo progetto. Ed è il titolo: The Manzanar Project. Il Manzanar è il più (????) conosciuto campo di concentramento americano durante la seconda guerra mondiale. In quel campo Gordon fu imprigionato con la sua famiglia e riuscì nel 1944 a conseguire il diploma. Divenne poi biologo e professore di importanti università ma fu proprio questa esperienza che gli segnò la vita anche in modo positivo, visto che il suo progetto è stato fortemente segnato dagli anni passati nel campo.



21/03/12

Qual è la riforma del lavoro che veramente vogliamo? (omaggio a Simone Weil)

In questi giorni telegiornali e quotidiani ci riempiono di un'ansia che culminerà con il tanto atteso (?!) accordo sulla riforma del mercato del lavoro. Atteso da chi? sarebbe la prima domanda ... a cui facilmente si può rispondere atteso da tutte le parti in gioco (politica, sindacati, lavoratori, lavoratrici, aspiranti lavoratori e aspiranti lavoratrici). Anche dall'estero - ci dicono - guardano con attenzione ciò che accade in Italia... Più che sull'attesa, che dò per scontata, vorrei concentrare l'attenzione sul tipo di relazione che si crea tra le varie parti in gioco. Ci sarà uno scontro basato sui rapporti di forza o si penserà veramente al benessere delle persone?

Qualche tempo fa ho letto il libro di Simone Weil, La prima radice. Alcune considerazioni relative allo sradicamento operaio sono una lente di ingrandimento rispetto a ciò che succede oggi.

Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell'anima umana. E' tra i più difficili da definire. Mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale all'esistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, l'essere umano ha una radice. Partecipazione naturale, cioè imposta automaticamente dal luogo, dalla nascita, dalla professione, dall'ambiente. A ogni essere umano occorrone radici multiple. Ha bisogno di ricevere quasti tutta la sua vita morale, intellettuale, spirituale tramite gli ambienti cui appartiene naturalmente.

La condizione del salariato - completamente e perpetuamente legata al denaro - costringe ad essere sempre tesi mentalmente alla busta paga operando uno sradicamento morale delle persone. I salariati sono esiliati e poi riammessi di nuovo, quasi per tolleranza, come carne da lavoro. La disoccupazione è uno sradicamento alla seconda potenza perché le persone non si sentono in casa propria né in fabbrica, né nelle loro abitazioni, né nei partiti e sindacati che si dicono fatti per loro, né nei luoghi di divertimento, né nella cultura intellettuale.


Lo sradicamento è di gran lunga la più pericolosa malattia delle società umane, perché si moltiplica da sola. Le persone realmente sradicate non hanno che due comportamenti possibili: o cadere in un'inerzia dell'anima quasi pari alla morte o gettarsi in un'attività che tende sempre a sradicare, spesso con metodi violentissimi, coloro che non lo sono ancora o che lo sono solo in parte.

Che cosa giova agli operai ottenere con le loro lotte un aumento dei salari ed una disciplina meno dura se contemporaneamente in qualche ufficio, gli ingegneri, senza alcuna intenzione malvagia, inventano macchine destinate ad esaurirli corpo ed anima o ad aggravare le difficoltà economiche? Che cosa servirebbe loro la nazionalizzazione parziale o totale dell'economia, se lo spirito di quegli studi non mutasse? Finora i tecnici non hanno mai avuto altra finalità oltre quella delle esigenze produttive. Se cominciassero ad avere sempre presenti allo spirito i bisogni degli operai, tutta la tecnica produttiva dovrebbe a poco a poco essere trasformata.

Chi cerca di compiere dei progressi tecnici dovrebbe avere continuamente fissa nel pensiero la certezza che, fra tutte le carenze che ci sono nella produzione, lo sradicamento operaio è quella più diffusa. La materia esce nobilitata dalla fabbrica, gli operai ne escono avviliti. Si può porre rimedio a questa situazione? Questo pensiero dovrebbe far parte del sentimento del dovere professionale e di quell'onore professionale che chiunque abbia compiti di responsabilità in un paese e in un'industria dovrebbe possedere.


Uno dei doveri essenziali dei sindacati operai, se ne fossero capaci, sarebbe quello di far penetrare un'idea simile nella coscienza universale. Se la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici diventasse pressapoco felice, non pochi problemi apparentemente essenziali e angosciosi sarebbero non solo risolti, ma aboliti. L'infelicità è un brodo di coltura per falsi problemi. Fa nascere ossessioni. Il mezzo per placarle non è di dare quel che esse pretendono, bensì di far sparire l'infelicità.

Ora io mi chiedo: perché pensieri come quelli di Simone Weil non sono alla base dei nostri ragionamenti sulla società? Perché rimane confinata tra poche persone - soprattutto donne - e non viene citata, ripresa, adattata all'oggi? Che almeno questo post le possa fare da cassa di risonanza, piccolo contrappeso alla stazza degli altri filosofi che infestano la politica e le relazioni tra le persone.

Giornata mondiale della Poesia

Oggi leggo che è la giornata mondiale della poesia - ormai ci sono giornate mondiale per tutto... tra poco ci saranno accavallamenti di feste o un allungamento del calendario per dare spazio ad ogni iniziativa !!! tuttavia la poesia ci abita e ci racconta quindi mi fa piacere condividere qualche testo. Per non sovraffollare anch'io la giornata ho scelto di condividere due testi che mi piacciono molto...


Una donna (Giorgio Gaber)

Una donna fasciata in un abito elegante
una donna che custodisce il bello
una donna felice di essere serpente
una donna infelice di essere questo e quello.

Una donna che a dispetto degli uomini
diffida di quelle cose bianche
che sono le stelle e le lune
una donna cui non piace la fedeltà del cane.

Una donna nuova, appena nata
antica e dignitosa come una regina
una donna sicura e temuta
una donna volgare come una padrona.

Una donna così sospirata
una donna che nasconde tutto
nel suo incomprensibile interno
e che invece è uno spirito chiaro come il giorno.

Una donna, una donna, una donna.

Una donna talmente normale
che rischia di sembrare originale
uno strano animale, debole e forte
in armonia con tutto anche con la morte.

Una donna così generosa
una donna che sa accendere il fuoco
che sa fare l’amore
e che vuole un uomo concreto come un sognatore.

Una donna, una donna, una donna.

Una donna che resiste tenace
una donna diversa e sempre uguale
una donna eterna che crede nella specie
una donna che si ostina ad essere immortale.

Una donna che non conosce
quella stupida emozione
più o meno vanitosa
una donna che nei salotti non fa la spiritosa.

E se questo bisogno maledetto
lasciasse in pace i suoi desideri
e se non le facessero più effetto
i finti amori dei corteggiatori
allora ci sarebbero gli uomini
e un mondo di donne talmente belle
da non avere bisogno
di affezionarsi alla menzogna del nostro sogno.

Una donna, una donna, una donna.
Una donna, una donna, una donna.


L'altro testo è di una poeta che ho scoperto da poco, sconosciuta quasi in Italia ma citata da Gioconda Belli nel suo ultimo libro Il paese delle donne. Si chiama Ana Maria Rodas e negli Settanta ha scritto la raccolta Poesia della sinistra erotica 


Per una donna questo non va bene (Ana Maria Rodas)



Te, ti terrorizza
parlare di queste cose.
Le senti, certo, ma ti rodono solo dentro.
Perché come dire “io desidero”?
-noi donne non desideriamo
ci limitiamo a fare figli-
Come puoi chiedere al tuo sposo
che ti lecchi e ti monti
-questo non l’hai imparato a scuola-
E quando lui raggiunge il suo orgasmo egoista
non puoi gridargli
non sono venuta.
Né puoi masturbarti
o trovarti un amante.
Per una donna questo non va bene.
 

20/03/12

Democrazia III ovvero quanto ci possono insegnare le culture indigene

Dopo aver parlato degli Stati Uniti e dell'Italia voglio condividere alcuni articoli della costituzione boliviana che danno l'idea di come un paese possa riconoscere nelle proprie differenze una fonte di meravigliosa ricchezza e di potenziale espressivo che difficilmente esiste in quelle che nel nostro immaginario sono le democrazie vere e proprie ...

http://www.asud.net/file/COSTITUZIONE_BOLIVIA_2008.pdf


il preambolo riconosce che lo stato politico si inscrive in quello fisico e nella storia delle persone "In tempi immemorabili si innalzarono montagne, si formarono fiumi e laghi. La nostra Amazzonia, il chaco, l'altipiano e le nostre pianure e valli si coprirono di verde e di fiori. Abbiamo popolato questa sacra Madre Terra con volti differenti, comprendendo la pluralità delle cose e la nostra diversità in quanto esseri umani e culture. In questo modo si sono formati i nostri popoli, e mai abbiamo compreso il razzismo che abbiamo sofferto sin dai tempi luttuosi della colonizzazione né mai lo comprenderemo".


TITOLO I
BASI FONDAMENTALI DELLO STATO

Articolo 2 Data l’esistenza precoloniale delle nazioni e popoli indigeni contadini originari, e il loro dominio ancestrale sul proprio territorio, si garantisce la loro autodeterminazione nella cornice dell’unità dello Stato, che consiste nel loro diritto all’autonomia, all’autogoverno, alla cultura, al riconoscimento delle loro istituzioni
e al consolidamento delle loro entità territoriali, in accordo con questa Costituzione e con la legge.

Articolo 3 La nazione boliviana è costituita dalla totalità delle boliviane e dei boliviani, dalle nazioni e popoli indigeni originari, contadini e dalle comunità interculturali e afroboliviane, che congiuntamente costituiscono il popolo boliviano.

Articolo 8 I. Lo Stato assume e promuove come principi etici e morali della società plurale: ama qhilla, ama llulla, ama suwa (non essere pigro, non essere bugiardo, non essere ladro), suma qamaña (vivere bene),
ñandereko (vita armoniosa), teko kavi (buona vita), ivi maraei (terra senza male) e qhapaj ñan (cammino o vita nobile).

II. lo Stato si regge sui valori di unità, uguaglianza, inclusione, dignità, libertà, solidarietà, reciprocità, rispetto,
complementarietà, armonia, trasparenza, equilibrio, uguaglianza di opportunità, equità sociale e di genere nella partecipazione; benessere comune, responsabilità, giustizia sociale, distribuzione e redistribuzione dei
prodotti e dei beni sociali per vivere bene.


Democrazia II ovvero il potere è mio e me lo gestisco io


Domenica sera a Torino c'è stato un concerto al Teatro Regio per chiudere i festeggiamenti dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Il concerto doveva essere pubblico e gratuito e invece si è rivelata l'ennesima blindatura della città e dei potenti (?!?!) con un cordone di polizia e carabinieri ad assicurare l'ordine pubblico. Ora mi chiedo come sia possibile pensare che ogni persona sia potenzialmente intenzionata a fare del male e come sia possibile che queste persone che eseguono gli ordini lo facciano senza mettere in gioco la propria soggettività. Forte del convegno "Culture indigene di pace" a cui ho partecipato, mi sono messa a parlare per una mezz'oretta con alcuni poliziotti e ho scoperto che: il loro unico problema è percepire uno stipendio e rispettare gli ordini che ricevono (se devono attaccare attaccano senza pensare che ci sia una persona davanti a loro che ha il diritto di passeggiare per la propria città tanto quanto chi partecipa al convegno).

Poi ieri appare su facebook questa foto che mostra Luciana Litizzetto ... che tristezza! che tristezza vedere una persona che in televisione sostiene il movimento No Tav e un'idea di democrazia partecipata che partecipa a questo concerto aderendo quindi alle modalità con cui è stato realizzato. Si sa che il sistema richiede per essere portato avanti anche qualcuno che vada contro, ma non troppo, che crei consenso altro ma che nello stesso tempo aderisca a quel sistema perché senza quel sistema non sarebbe così ricco o ricca. Un sistema che prevede prima dell'arricchimento personale un benessere per ogni persona e per ogni cosa richiede uno sforzo che poche persone nella nostra società sono in grado di fare ... perché significherebbe in primo luogo rinunciare ai propri privilegi!


Democrazia ovvero ogni persona è potenzialmente una terrorista fino a prova contraria

Tra qualche giorno partirò per un viaggio in Sudamerica ... Bolivia e Brasile mete sicure nel mezzo chissà... Il volo di andata fa scalo a Miami e lungi dal Welcome to Miami cantato da Will Smith ho dovuto compilare una dichiarazione per poter sostare negli USA - anche se solo per aspettare la coincidenza che mi portasse a La Paz ... posto alcune delle domande a cui ho dovuto rispondere perché quella che viene considerata un modello di democrazia in tutto il mondo (esportabile a suon di guerre e che comunque contiene il diritto alla felicità nella propria costituzione) pratica il pensiero che ogni persona che passa sul suolo americano è potenzialmente una terrorista e sta a lei/lui l'onere della prova per togliersi da questa accusa !!!

Malattie contagiose
Ai sensi delle leggi degli Stati Uniti, le malattie contagiose che riguardano la salute pubblica sono:
  • Ulcera molle
  • Gonorrea
  • Granuloma inguinale
  • Lebbra, infettiva
  • LGV (linfogranuloma venereo)
  • Sifilide, fase infettiva
  • Tubercolosi, attiva
  • Altre malattie specificate dal Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani.   
Disturbi fisici o mentali
Per quanto riguarda i disturbi fisici o mentali, rispondere ”Sì” a questa domanda se:
(a) Si soffre attualmente di un disturbo fisico o mentale e se il comportamento associato al disturbo potrebbe rappresentare, o ha rappresentato, una minaccia alla proprietà, alla sicurezza o al benessere di se stessi o di altri; o
(b) Si è sofferto di un disturbo fisico o mentale e se il comportamento precedentemente associato al disturbo, che ha rappresentato una minaccia alla proprietà, alla sicurezza o al benessere di se stessi o di altri, potrebbe ripetersi o condurre ad altri comportamenti dannosi.

16/03/12

Inventiamo il mondo


Da oggi pomeriggio e fino a domenica sera Torino ospiterà un convegno internazionale che già dal titolo Culture indigene di pace. Donne e uomini oltre il conflitto apre alla conoscenza di un mondo in cui la gestione del conflitto trova soluzioni alternative alla violenza

http://www.associazionelaima.it/

Una delle organizzatrici è una mia cara amica e mi ha chiesto di partecipare portando i saluti di una delle istituzioni che hanno patrocinato il convegno. E' la prima volta che faccio un'esperienza del genere, ossia parlare per conto delle istituzioni. Non volendo essere noiosa e decidendo di rispettare rigorosamente il termine dei dieci minuti ho preparato questo testo che voglio condividere con voi ...


Buongiorno a tutte e a tutti
anch'io vi porto i saluti della Commissione per la realizzazione delle Pari Opportunità Donna-Uomo della Regione Piemonte.
Ringrazio l'associazione Laima – Morena, Sarah e Monica – per averci chiesto di essere presenti in questa occasione che voglio sottolinearlo è un convegno internazionale organizzato interamente dal basso. Ho scelto quindi di condividere con voi queste riflessioni che mi pare vadano nella stessa direzione scelta dalle organizzatrici e realizzata da tutti e tutte noi qui presenti.

         Vi voglio prima dire quali sono a mio avviso i motivi che rendono fondamentale la presenza della Commissione: sempre più spesso alla televisione e sui giornali ci dicono che “la Democrazia è in pericolo”. Al concetto di democrazia nel nostro immaginario viene legato quello di libertà. Perché il contrario della democrazia è la dittatura sistema in cui le libertà sono per definizione annullate. Ma di quale democrazia stiamo parlando? Recentemente ho letto un libro di una teologa svizzera Ina Preaotirus – che mi fa piacere citare in questa occasione – per la quale non è trascurabile che la concezione occidentale di libertà sia nata in una società che non riconosceva la piena appartenenza al genere umano a molte categorie di persone, tra cui donne, schiave e schiavi. L'antica Grecia nel momento in cui ha stabilito la gerarchia dei rapporti tra sfere superiori, libere, e sfere inferiori, dipendenti, ha posto le fondamenta per un'interpretazione illusoria della libertà che tuttora ci accompagna producendo effetti distorti nella nostra società e nel rapporto tra uomini e donne. La definizione di superiore e inferiore nasconde l'origine di un vittorioso e di un vinto. In questo senso l'uguaglianza è quanto si offre ai colonizzati sul piano delle leggi e dei diritti. L'uguaglianza è il principio in base al quale l'egemone continua a condizionare il non egemone come ha scritto negli anni 70 Carla Lonzi.

         Le commissioni Pari Opportunità sono state pensate come luoghi di democrazia per rimuovere gli ostacoli che di fatto costituiscono discriminazione diretta o indiretta nei confronti delle donne. Una delle funzioni della Commissione è la promozione di occasioni di confronto culturale sulla condizione femminile e sull'immagine della donna, contribuendo alla elaborazione di comportamenti differenti. Se infatti c'è uno stare tra donne basato sulla tradizionale complicità e solidarietà femminile, sempre più frequenti sono le situazioni in cui le donne si trovano in un mondo che è stato disegnato dagli uomini e in cui la loro presenza non era prevista e rischia di non essere percepita come portatrice di una differenza in grado di creare un altro ordine di rapporti.

         Come si può organizzare una società in cui ogni persona sia al tempo stesso libera e dipendente, serva e sia servita, definisca e sia definita, agisca in molteplici processi di scambio? Ecco allora che questo convegno può essere l'occasione in cui tali pratiche vengono fatte conoscere aiutandoci a modificare il nostro immaginario legato al concetto di potere e di giustizia. Farsi giustizia è un'espressione che nella nostra società occidentale indica una ricerca di giustizia personale e privata, perciò riprovevole. La rivolta femminista, oltrepassando il confine pubblico/privato, ci esorta a cominciare ad agire nella realtà con criteri, misure, valori indipendenti da quelli dominanti. Cominciare a fare giustizia senza affidarsi a tribunali e leggi valorizza la propria autorità in quanto forza simbolica che può contrastare la paura del potere. La rivoluzione che conta è quella che avviene nell'immaginazione e da tale rivoluzione scaturiranno altri cambiamenti. Tutte le trasformazioni hanno in comune il fatto di avere inizio nell'immaginazione e nella speranza. Sperare è puntare sul futuro, sui propri desideri. Speranza significa che un altro mondo potrebbe essere possibile, non promesso, non garantito. La speranza richiede quindi azione: tutto può accadere e tutto dipende dal nostro agire o dalla nostra mancanza di azione. La speranza è un atto di sfida che abbraccia l'essenziale inconoscibilità del mondo, le rotture con il presente, le sorprese. È vero che negli ultimi decenni lo stato del mondo è peggiorato in modo drammatico se lo misuriamo sul piano materiale con la brutalità delle guerre, l'emergenza acqua e cibo e i feroci attacchi contro l'ambiente, ma abbiamo anche elaborato un enorme numero di attività immateriali – diritti, concetti, parole, pratiche – che rappresentano uno spazio vitale e gli strumenti con cui possiamo affrontare queste atrocità. La globalizzazione non è solo omologazione e accentramento del capitale da parte delle multinazionali, c'è una globalizzazione della comunicazione e delle idee che ne costituisce l'antitesi (Rebecca Solnit, Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo).
        
         Di conseguenza mi piace pensare a questo convegno come al catalizzatore che ci mostri le forme originali della concezione di potere esistenti nel mondo, diverse da quelle che ci hanno insegnato a scuola. Il capitalismo e il socialismo di stato non racchiudono tutte le possibilità di convivenza poiché le società indigene agiscono spesso modalità significativamente diverse per immaginare e amministrare i sistemi sociali ed economici oltre che per collegare la spiritualità e la natalità alla politica. La natalità esalta il simbolico della dipendenza e riporta al centro della convivenza l'ambiente domestico quale luogo primario di cura della vita a scapito del mercato e delle sue regole escludenti. L'essere partoriti ci segna per tutta la vita come esseri dipendenti, bisognosi dell'altra o dell'altro nei quali rimane collocata la nostra libertà. Libertà non significa più rendersi indipendenti da tutto e da tutti bensì che ogni persona possa partecipare al gioco del mondo con nuove pratiche poiché con la propria nascita si è dato inizio a qualcosa di nuovo. Al cuore di questo processo c'è la restituzione alle persone della loro capacità creativa e la riattivazione del loro potenziale di intervento diretto nel mondo. Le persone non sono più intese come consumatrici ma come produttrici di significato. La democrazia diventa quindi una forma politica in cui uomini e donne continuamente re-inventano il mondo grazie alla loro immaginazione, alle relazioni e alle pratiche che agiscono tra loro.

         A queste pratiche in cui il bisogno simbolico di autorità viene accordato all'amore per la libertà il movimento femminista italiano degli anni 70 ha dato il nome di politica del desiderio: le azioni diventano segni e insieme strumenti non soltanto di resistenza ma di libertà. Il desiderio che sa combinare la vita, continuamente ricontrattato con la realtà che ci circonda e che mira a un guadagno di essere. A un di più di essere, come dice Luisa Muraro. Il mio augurio per questi giorni quindi è quello di inventare tutti e tutte insieme il mondo in cui vogliamo vivere. Dipende da noi.  



Ake Dama e Najin Lacong esponenti del popolo Moso. I Moso vivono in Cina e sono un esempio di società che non produce i conflitti e le violenze tra i sessi che il senso comune generalmente attribuisce alla "natura umana".

13/03/12

eccola...

Finalmente ho tempo e agio per scrivere il primo post... avrei potuto iniziare anche prima, ma preferisco fare una sorta di introduzione ufficiale a questo spazio virtuale che finalmente mi sono decisa ad occupare - traslando quell'occupy the net che apre alla libertà di informazione - ringraziando tutte le magnifiche persone che costellano la mia vita in questo momento! Proprio grazie a loro e per loro ho scelto di intitolare il blog "Cambiare il mondo senza prendere il Potere" dove il potere con la P maiuscola rappresenta un modo di vivere che non ci appartiene ma a cui molti e molte si assoggettano sperando in una vita più soddisfacente. Il potere - quello indicato con la p minuscola - è una forza di cui dispone ogni persona che sta abitando la Terra in questo momento. Basta solo vederlo all'opera ... è quello che mi propongo di fare in questi miei post. Vorrei evitare le recriminazioni e le delusioni, piuttosto voglio porre l'attenzione sugli aspetti positivi - nascosti, sconosciuti, non valorizzati - che accompagnano ogni nostra azione sulla scorta di ciò che dice Rebecca Solnit in Speranza nel buio. Guida per cambiare il mondo Fandango Libri 2005 "Questo libro - per noi questo blog - racconta storie di vittoria e opportunità perché le sconfitte e i disastri sono già stati sufficientemente documentati; esiste non per opporsi o per negarli, ma in simbiosi con loro o forse come piccolo contrappeso alla loro stazza" (p.19).