In questi giorni io e il mio moroso (uso questa parola consapevolmente perché ragazzo a 37 anni non è sostenibile e compagno è un termine troppo connotato politicamente) abbiamo deciso di convivere. Tutto perfetto se non fosse che abbiamo una casa e un lavoro a 450 km di distanza.
Uno dei due si dovrà spostare. E ha deciso di farlo lui anche per sperimentare la vita di città.
Rimane sicura la casa bisogna trovare un lavoro. Io del mio, da ricercatrice, ho esplorato in questi anni le contraddizioni e le onde che ti portano ad avere borse di studio con cui ti puoi pagare vitto e alloggio a Parigi e periodi in cui pare che non stai facendo niente perché non hai un'entrata fissa.
L'entrata fissa, tuttavia, fa parte della maggior parte delle mentalità e senza un processo di decostruzione attivo e guidato può risultare bersaglio facile in un attacco da parte di chi avrà anche un'entrata fissa ma ha un animo arido e una paura folle del cambiamento.
Così stiamo cercando lavoro per lui. Ed è un percorso di illuminazione su come stiamo nel mondo, su come il sistema capitalistico ci vuole. E su come noi rispondiamo a questa domanda.
Ieri ho letto un articolo interessante di Silvia Federici a proposito dell'economia femminista.
Questo articolo parla dei principi di una visione femminista dell'economia.
Principi molto diversi rispetto a quelli delle Commissioni Pari Opportunità istituzionali che troppo spesso sono Commissioni di Pari Opportunismo in cui si pensa di spartirsi la fetta di torta del potere e non a eliminare l'oppressione maschilista che da millenni tenta di impedire altri modi di pensare e che è strettamente legata al sistema liberista e capitalista.
Alcuni stralci possono invogliare alla lettura e al pensiero. Che poi diventa pratica e cambiamento:
Se hai una vita ricca dal punto di vista emotivo, con buone relazioni sociali, non ti perdi per una camicia. Il potere magico delle cose, è un potere che si può sviluppare solo su un deserto emotivo, un deserto sociale.
Dal Movimento Femminista Internazionale lanciamo la campagna Salario per il Lavoro Domestico perché interpretiamo il salario come una macchina che provoca disuguaglianza. In primo luogo, il divario salariale ha permesso l’invisibilità del lavoro domestico, che ha provocato una serie di sfruttamento del lavoro. In secondo luogo, l’ha naturalizzato perché l’ha mitizzato e ha creato gerarchie tra “retribuito” e “non retribuito”. Attraverso queste gerarchie si è prodotto un controllo indiretto delle persone “senza salario”. Da qui, i /le salariat* diventano datori di lavoro, controllori e supervisori del lavoro non retribuito. La gerarchia non è mai neutra: è il principio dello sfruttamento.
Trovo giusto integrare nella ricerca del lavoro per lui questi principi. Perché le nostre azioni individuali hanno un peso nel mondo e contribuiscono a dare o a togliere forza a un sistema!
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