27/05/12

Manifesto per la soppressione dei partiti politici - Simone Weil


Qualche settimana fa al Salone del Libro di Torino mi sono imbattuta nel catalogo di una casa editrice che preannunciava la ristampa del MANIFESTO PER LA SOPPRESSIONE DEI PARTITI POLITICI di Simone WEIL (testo pubblicato per la prima volta nel numero 26 della rivista francese “La Table Ronde” del 1950). È stata una folgorazione. Ho trovato quel breve testo in internet e ho pensato di metterne qualche assaggio perché può essere un'utile lente per leggere la nostra situazione attuale… e per capire come dagli anni Trenta del Novecento a oggi, il sistema dei partiti politici abbia invaso tutta la nostra società riducendo drasticamente la nostra capacità di pensiero e di conseguenza la nostra azione.

Voglio condividere con voi qualche passaggio di questo scritto per la sua allarmante attualità e per la grazia con cui Simone spiega l'effetto che i partiti politici hanno sulla nostra società e su di noi.

Secondo la Weil il totalitarismo è il peccato originale dei partiti. I partiti nel continente europeo sono nati come eredità del Terrore (il club dei giacobini francesi in precedenza era un luogo di libera discussione) e dall’influenza dell’esempio inglese (dove tuttavia è presente un elemento di gioco e di sport aristocratico che noi continentali non possediamo). 


Scrive Simone “Il fatto che i partiti oggi esistano non e’ in alcun modo un motivo per conservarli. soltanto il bene e’ un motivo legittimo di conservazione. Il male dei partiti politici salta agli occhi. La questione da esaminare e’ se ci sia in essi un bene che abbia la meglio sul male e renda cosi’ la loro esistenza desiderabile.”

Per Simone i caratteri essenziali di un partito politico sono tre:
- è una macchina per fabbricare passione collettiva (quindi un impulso al crimine e alla menzogna - come diceva Rousseau)
- è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte
- il fine primo, e in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite

Per via di questa tripla caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno. Inoltre è vago rispetto alla sua dottrina poiché la dottrina non è una merce collettiva. Il partito si trova quindi, per effetto dell’assenza di pensiero, in un continuo stato d’impotenza, che attribuisce sempre all’insufficienza del potere di cui dispone. Se anche fosse padrone assoluto del paese, le necessità internazionali gli imporrebbero limiti troppo ristretti. Diventa inevitabile che il partito sia esso stesso stesso il proprio fine. E così la tendenza essenziale dei partiti è totalitaria, non solo relativamente a una nazione, ma relativamente al globo terrestre. Poiché la concezione del bene pubblico propria all’uno o l’altro partito è una finzione, una cosa vuota, irreale, che essa impone la ricerca della potenza totale. E' per questo che c'è affinità, alleanza, tra il totalitarismo e la menzogna. 

La crescita del partito diventa l'unico desiderio: se quest’anno ci sono tre membri in più dell’anno scorso, o se l’autofinanziamento ha permesso di raccogliere cento franchi in più, si è contenti. Mai si potrebbe concepire che il loro partito possa avere in alcun caso troppi membri, troppi elettori, troppo denaro. La crescita materiale del partito diviene l’unico criterio rispetto al quale si definiscono in ogni caso il bene e il male. Esattamente come se il partito fosse un animale all’ingrasso, e l’universo fosse stato creato per farlo ingrassare.

Nel momento in cui la crescita del partito costituisce un criterio del bene, ne consegue inevitabilmente una pressione collettiva del partito sui pensieri degli uomini. Questa pressione, in effetti, esiste. Viene mostrata pubblicamente. E' ammessa, proclamata. Questo fatto ci farebbe orrore se l’abitudine non ci avesse talmente induriti. I partiti sono organismi pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia. La pressione collettiva è esercitata attraverso la propaganda, la persuasione, non la comunicazione della luce. I partiti parlano, è vero, di educazione nei confronti di quelli che sono venuti a loro: simpatizzanti, giovani, nuovi aderenti. Questa parola è una menzogna. Si tratta di un addestramento che serve a preparare l’influenza ben più rigorosa esercitata dal partito sul pensiero dei suoi membri.

Se un uomo, membro di un partito, è risolutamente deciso ad essere fedele in ogni suo pensiero unicamente alla luce interiore e a null’altro, non può far conoscere questa risoluzione al suo partito. E' allora, di fronte a esso, in stato di menzogna. Questa situazione non può essere accettata che a causa della necessità, che obbliga a entrare in un partito per prendere parte efficacemente agli affari pubblici. Se mi appresto a dire, in nome del mio partito, cose che stimo contrarie alla verità e alla giustizia, lo indicherò con un avvertimento preliminare? Se non lo faccio, mento. Se l’appartenenza a un partito obbliga sempre, in ogni caso, alla menzogna, l’esistenza dei partiti è assolutamente, incondizionatamente, un male.

Ma allora questa necessità è un male, e bisogna mettervi fine sopprimendo i partiti.

E' impossibile esaminare i problemi spaventosamente complessi della vita pubblica prestando attenzione contemporaneamente da un lato a discernere la verità, la giustizia, il bene pubblico, dall’altro a conservare l’atteggiamento che si conviene a un certo membro di un raggruppamento. Nessuna sofferenza attende chi abbandona la giustizia e la verità, mentre il sistema dei partiti comporta le pene più severe per l’indocilità. Penalità che toccano quasi tutto: carriera, sentimenti, amicizie, reputazione, onore, talvolta addirittura la vita di famiglia.

Quando in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. In questo caso chi entra a far parte di un partito sarà preso da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico. I partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtù del quale, in tutta l’estensione di un paese, non uno spirito dedica un’attenzione allo sforzo di discernere negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la verità. Ne risulta che – eccezion fatta per un piccolo numero di coincidenze fortuite – vengono decise e intraprese soltanto misure contrarie al bene pubblico, alla giustizia e alla verità.

Come aderire ad affermazioni che non si conoscono? E' sufficiente sottomettersi incondizionatamente all’autorità che le ha emanate (e questo meccanismo è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l'eresia). Il movente del pensiero non è più il desiderio incondizionato, indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un insegnamento prestabilito.
La nostra democrazia fondata sul gioco dei partiti, ognuno dei quali è una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica. L’influenza dei partiti ha contaminato l’intera vita mentale della nostra epoca. E Simone scrive negli anni Trenta!!! Figuriamoci fosse viva oggi cosa direbbe... Chi che aderisce a un partito ha verosimilmente visto nell’azione e nella propaganda di quel partito cose che gli sono parse giuste e buone. Ma non ha mai studiato la posizione del partito relativamente a tutti i problemi della vita pubblica. Entrando a far parte del partito, accetta posizioni che ignora. Sottomette così il suo pensiero all’autorità del partito. Quando, poco a poco, conoscerà le posizioni che oggi ignora, le accetterà senza esaminarle.


Entrare in un partito significa adottarne docilmente la disposizione d'animo. E' una posizione così confortevole! Perché equivale a non pensare! 

La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. E' perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi.

Questa soppressione estenderebbe la propria virtù di risanamento ben al di là degli affari pubblici. Perché lo spirito di partito è arrivato a contaminare ogni cosa. In un paese le istituzioni che determinano lo svolgersi della vita pubblica influenzano sempre la totalità del pensiero, a causa del prestigio del potere. Siamo arrivati al punto da non pensare quasi più, in nessun ambito, se non prendendo posizione “pro” o “contro” un’opinione e cercando argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino. E' esattamente la trasposizione dell’adesione a un partito.

Come, nei partiti politici, esistono democratici che ammettono diversi partiti, allo stesso modo nell’ambito delle opinioni le persone di ampie vedute riconoscono un valore alle opinioni con le quali si dicono in disaccordo. Significa aver perso completamente il senso stesso del vero e del falso. Altri, una volta presa posizione per un’opinione, non accettano di esaminare nulla che le sia contrario. E' la trasposizione dello spirito totalitario. Quasi dappertutto l’operazione di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, si è sostituita all’operazione del pensiero. Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici e si è espansa, attraverso tutto il paese, alla quasi totalità del pensiero.

Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra che ci sta uccidendo, senza cominciare dalla soppressione dei partiti politici.



















20/05/12

La politica delle donne – Ada Natali e il dissenso dal Patto Atlantico

Da ieri è un rincorrersi di notizie sulla bomba di Brindisi. Anche se una persona non avesse la televisione in casa (aspettando gli “approfondimenti” dei vari talk show da domani all'infinito) facebook si è riempito all'istante di foto, parole, pensieri in ricordo di Melissa. Ma soprattutto si è riempito di parolacce, minacce, associazioni mentali su chi possa essere stato il colpevole. Serpeggia il bisogno – espresso o inespresso – di trovare il colpevole, il capro espiatorio che possa portare via tutte le colpe e nello stesso tempo renderci immuni dal fatto di essere noi colpevoli. Certo non è mia intenzione scrivere che siamo tutti e tutte potenzialmente assassini e assassine, ma quanto male facciamo a chi ci circonda e anche a chi vive più in là del nostro sguardo quando non privilegiamo la relazione? Quando ci muovono gli interessi – più o meno giustificati – come possiamo pensare di creare relazioni sane? Quando solleviamo polemiche – molto spesso inutili – come possiamo essere sicuri e sicure che l'energia prodotta non faccia male a qualcuno o a qualcuna?

Proprio per questo motivo, aldilà delle polemiche che leggo ovunque e che cresceranno in modo esponenziale – voglio dare il mio contributo con un pensiero tratto dal primo numero dei quaderni “Storia delle Marche in età contemporanea” dell'Associazione di Storia Contemporanea dell'Università di Macerata. Tra i vari saggi mi ha colpito quello di Eleonora Marsili dedicato alla prima sindaca italiana – ADA NATALI -.

Ada Natali fece parte anche della prima legislatura e nella sua attività politica pose il problema della tutela delle donne che diventavano madri. Ciò che mi interessa condividere ora è il discorso tenuto il 16 marzo 1949 quando Ada Natali espresse la propria volontà di votare contro il Patto Atlantico. Non credeva alle parole del Governo che presentava il Patto Atlantico con scopi pacifici: lo considerava invece un patto di guerra che avrebbe sancito l'effettiva liquidazione dell'ONU, unica organizzazione per la collaborazione internazionale e la realizzazione della pace nel mondo.

“Signori, in nome delle donne da me rappresentate, in nome di tutti i bambini, di tutti gli umili e i semplici, non solo delle Marche ma di tutta Italia, io vi invito a riflettere su quanto state per fare! Grande è la vostra responsabilità; ascoltate il monito che a voi sale e da questi banchi e da tutto il Paese! L'umanità è stanca di dolori e di odio; non imbrancatevi in guerre fratricide; fate sì che il popolo italiano tenda la sua mano ai popoli di tutto il mondo, e cooperate alla felicità degli umili, dando pane, pace e lavoro! Ove questo voi non facciate, noi ci opporremmo con tutte le nostre forze a che il nostro Paese e gli altri paesi, ove si lavoro e si soffre, non siano nuovamente devastati dalla vostra guerra inutile e criminale”.

Queste parole che oggi potremmo applicare facilmente all'Unione Europea e a tutti i patti economici dissodate dall'oscurità in cui stanno riposando possono costituire una genealogia femminile utile alle donne che decidono di entrare nelle istituzioni per cambiare questo modello di potere individualistico e non relazionale che ci vendono come l'unico possibile e praticabile.

01/05/12

R(E)sistenza

A volte alcuni post richiedono esigono da noi di essere scritti... questo è un post dedicato a tutte le donne che hanno partecipato alla Resistenza e che ancora oggi riescono a darci lezioni di umiltà e di dignità con semplici parole e gesti.

Sabato mattina ho partecipato ad un incontro organizzato per celebrare le donne del Partigianato piemontese. L'intenzione delle organizzatrici era tracciare una sorta di genealogia femminile con alcune esponenti di un partito politico e con le giovani attiviste. Velocemente ricordo che il ruolo delle donne nella Resistenza per molti decenni è rimasto misconosciuto, dimenticato, confinato in pochi nomi di donne famose perché hanno intrapreso carriere politiche o sono diventate personagge di primo piano.

Di solito quando partecipo ad un convegno mi piace prendere appunti e mescolare ciò che dicono le persone che parlano alle mie impressioni. Guardare il pubblico. Segnare alcuni momenti. Vicino a me siede una donna molto anziana, avrà tra gli ottanta e i novant'anni e a un certo punto mi dice "Brava, vedo che prende appunti". La terza persona è un segno di rispetto che mi fa ricordare un'altra donna fantastica che ho avuto la fortuna di conoscere qualche anno fa. Si chiama(va) Suso Cecchi d'Amico e per presentarmi a suo figlio una volta ha detto: "Ecco una mia amica". La terza persona è rispetto. Rispetto ancora più profondo quando è utilizzata da una persona più anziana nei confronti di una più giovane.

Solo durante il momento dedicato alla premiazione scopro che la persona seduta accanto a me si chiama Cecilia Genisio ed è una Partigiana. Finito il convegno, durante il quale mi sono molto emozionata, sentendo i racconti di queste donne, mi rivolgo a Cecilia scusandomi se oggi l'Italia è ridotta in questo stato, se i valori che hanno indirizzato le sue azioni sono stati calpestati in questo modo. Lei invece con uno splendido sorriso mi dice "Facciamo una foto. Voglio portarla nei miei ricordi personali". Sono rimasta sbigottita perché quelle al massimo dovevano essere mie parole, non sue. Che senso ha per una donna che ha avuto una vita come la sua dirmi quella frase?

Quando ha ritirato l'attestato la giornalista che moderava l'incontro le ha chiesto di aggiungere qualche ricordo a quel momento. Lei, che è di Cuorgnè, racconta che il suo è stato l'unico paese piemontese ad arrendersi senza che ci fosse spargimento di sangue e che lei è stata contenta di aver partecipato alla resa, riuscendo a risparmiare delle vite umane.

In questi giorni ho ripensato molto a questo incontro. Al significato che voglio dare alle parole di Cecilia. Mi piace pensare alle sue parole come a un invito a dimostrare il suo stesso coraggio nelle mie scelte personali e nel mio modo di stare al mondo. Vivere richiede coraggio e senso di responsabilità. Molto spesso può essere difficile, ci sono momenti bui. La relazione con gli altri e con le altre, il riconoscimento, la genealogia, ci possono aiutare. Condivido questo mio momento con voi affinché un po' del coraggio di Cecilia e delle sue compagne vi raggiunga.